Firenze – Si trovava in Toscana e più esattamente nel Chianti il monastero di Asello in cui viveva quel frate Martino che “per un punto perse la cappa”. Questo famoso modo di dire è utilizzato per sottolineare che un obiettivo non è stato raggiunto per un soffio o che un errore apparentemente trascurabile ci ha impedito di ottenere un certo risultato.
L’origine del detto è in un aneddoto in cui si racconta che Martino aspirava a divenire abate e quindi ad essere insignito della cappa, un particolare mantello che simboleggiava la carica. In altre versioni si narra che era già abate e che l’errore di cui parleremo provocò la sua rimozione. Ecco, comunque, cosa accadde.
In occasione della visita del Vescovo si pensò di abbellire il convento con una scritta .E Martino dipinse sul portone questa frase di benvenuto che (poiché si era nel XVI secolo) – era in latino: “Porta patens esto. Nulli claudatur honesto”. Ovvero La porta resti aperta. Non sia chiusa per nessun uomo onesto. Ebbene, il distratto frate Martino cambiò la posizione del punto che divideva la frase la quale risultò dunque così : “Porta patens esto nulli. Claudatur honesto”. Ovvero La porta non resti aperta per nessuno. Sia chiusa all’uomo onesto. Insomma, per questo errore di punteggiatura, invece dell’accoglienza essa annunciava un rifiuto, un respingimento.
Il Vescovo quando la lesse si adirò e Martino non ebbe mai la cappa da abate (nell’ altra versione, che ha identico significato, fu privato dell’incarico).
Questa locuzione è così famosa che venne adottata anche in Francia, però essa dice che Pour un point Martin perdit son âne” (oppure l’analoga Faute d’un point, Martin perdit son âne ) Ma che c’entra l’asino? Probabilmente nella traduzione dal latino il nome della località , Asello è stato confuso con la parola asinello che in latino è, appunto, asellus. Così, però, la frase perde il significato originario.
Secondo il Dizionario dell’ Argot di Eugène Boutmy pubblicato nel 1883 ci sono due possibili spiegazioni La prima riguarda due ecclesiastici che si contendevano l’abbazia di Sonane (“son âne”, e Martin perse la causa per un’errata punteggiatura nell’atto di vendita che modificava il senso della frase.
La seconda riporta l’aneddoto dell’abate di Asello che anche nel Dictionnaire étymologique, historique et anecdotique des proverbes” del 1842 era considerata la più probabile.
Peraltro, Leroux de Lincy nel Libro dei proverbi francesi (1859) riportava la variante “pour un point perdit Gibert son âne”
che sarebbe stata già in uso nel XIII secolo, di cui non si conosce, però, la spiegazione. (Per la versione francese del proverbio cfr, https://www.expressio.fr/expressions/pour-un-point-martin-perdit-son-ane).
In Inghilterra troviamo anche un’antica filastrocca con significato simile “for want of a nail, a kingdom was lost” ovvero “Per mancanza di un chiodo il regno fu perduto”.
La filastrocca dice infatti:
Per la mancanza di un chiodo si perse lo zoccolo / Per la mancanza di uno zoccolo si perse il cavallo/ Per la mancanza di un cavallo si perse un cavaliere/ Per la mancanza di un cavaliere si perse la battaglia/ Per la mancanza di una battaglia si perse il regno/ E tutto per la mancanza di un chiodo per ferrare un cavallo.
E proverbio analogo lo ritroviamo anche in spagnolo por un clavo se perdió un reino
Tra l’altro esiste anche la variante for want of a nail the ship was lost (per mancanza di un chiodo la nave era perduta)
Tuttavia, in italiano l’aneddoto di Martino ha una valenza in più in quanto non vuole solo ammonire che una disattenzione, un errore trascurabile può provocare gravi conseguenze ma pone in risalto anche quanto sia importante l’esattezza nello scrivere, a cominciare dalla punteggiatura.
A questo proposito ricordo anche un altro aneddoto in cui un re si trovò di fronte a una domanda di grazia di un detenuto in calce alla quale di direttore del carcere aveva annotato. “Grazia impossibile. Lasciarlo in prigione”. Il sovrano magnanimo avrebbe solo spostato il punto dopo la parola grazia, modificando sostanzialmente la frase che divenne quindi : “Grazia. Impossibile lasciarlo in prigione”.
In realtà, l’aneddoto in origine era di segno opposto ovvero si raccontava che il re aveva scritto in calce alla supplica “grazia impossibile, lasciarlo in prigione” ma un suo segretario nel trasmetterla al direttore del carcere aveva spostato una virgola in modo che si leggeva “grazia, impossibile lasciarlo in prigione.” Evidentemente quella che conoscevo io era stata modificata per esaltare la magnanimità del monarca.
Termino con una frase curiosa letta su una felpa. Sono vivo e vegeto. Sono vivo . E vegeto. Potenza della punteggiatura.