Chi si trovava a passare davanti alla Basilica della Beata Vergine della Ghiara mercoledì sera, si sarà chiesto quale evento straordinario potesse giustificare la lunga fila di persone in attesa davanti al portone centrale del tempio cittadino. Le lezioni magistrali di Vittorio Sgarbi da sempre richiamano un pubblico vasto ed eterogeneo, non fa eccezione questa, inserita nell’ambito del festival culturale itinerante promosso dal settimanale Panorama.
Dopo le tappe di Firenze e Bergamo è stata la volta di Reggio Emilia, per poi proseguire a Piacenza, Napoli e Palermo. Il tour non è finalizzato ad un racconto esclusivamente artistico, anzi si propone di attraversare il Paese per raccontare le meraviglie e le eccellenze della nostra terra. In sostanza un’operazione di marketing finalizzata alla promozione turistica. Per questo motivo chi si aspettava una lezione specifica sull’arte non sarà rimasto soddisfatto, ma si poteva comunque cogliere, al di là dell’evento a carattere promozionale della città, qualche utile suggerimento su luoghi e artisti che hanno lasciato il segno oltre ad alcune calorose esternazioni di carattere culturale e religioso.
La prima osservazione mossa dal critico d’arte, è stata sul perché Reggio Emilia sia una città così poco conosciuta, dal momento che non mancano motivi per visitarla. Opinione espressa più ampiamente nel suo articolo pubblicato dalla rivista Panorama, riguardo la nostra città, a differenza della provincia che pare essere più frequentata turisticamente. La Basilica della Ghiara resta un punto di forza a parere di Sgarbi, non solo per le importanti opere che custodisce: Tiarini, Spada, Carracci, Guercino… anche per un turismo a carattere religioso come altri luoghi in Italia di interesse mariano.
È uno scrigno di bellezza che nella serata ha fatto da contenitore ad un racconto più ampio che ha toccato altri siti di auspicabile richiamo turistico: Palazzo Magnani, il Museo Spallanzani, la Galleria Parmeggiani, la Fondazione Maramotti… non vi è stato cenno riguardo ai Chiostri di San Pietro, forse una dimenticanza. Sgarbi ha anche ricordato Reggio come città del Tricolore e Medaglia D’Oro alla Resistenza. Se per certi aspetti essere al riparo da un certo tipo di turismo può essere un bene, sostiene il critico, è importante la riflessione sul perché artisti famosi quali Luca Ferrari, meglio conosciuto come Luca da Reggio, siano rimasti nell’ombra.
I grandi nomi non mancano a rendere la città importante sotto il profilo artistico e culturale, anche in ambiti che non siano solo della pittura. Da Luigi Ghirri che Sgarbi ha giustamente elogiato come il Morandi della fotografia dell’Emilia, autore di un’immagine post felliniana dei nostri paesaggi: tra sogno e realtà . Per non parlare del poco celebrato Ariosto, che la città di Reggio non ha mai riconosciuto tanto quanto Ferrara dove visse e morì. Ma quello che il critico d’arte ha comunicato nella serata, non sono stati soltanto cenni sul patrimonio artistico, del quale risulta essere grande conoscitore, quanto piuttosto provocazioni in riferimento alla tradizione e al cristianesimo.
Forse a una parte di pubblico, speriamo minoritaria, più attenta a battute ironiche e pronta a scattare selfie sull’altare del Crocifisso, è un trascurabile dettaglio che Sgarbi si sia addentrato in questo campo. Non esula comunque dal discorso sull’arte, anzi è il presupposto imprescindibile, in virtù del fatto che il nostro patrimonio artistico ha nella quasi interezza radici cristiane. Ricordando che nel 2019 si celebreranno i quattrocento anni della traslazione dell’immagine della Vergine della Ghiara di L. Orsi, Sgarbi ha sottolineato che la basilica esiste perché un tempo c’erano i miracoli e che la nostra vita oggi non tiene conto dei miracoli, che erano la prova dell’esistenza di Dio.
Lo storico dell’arte ci ha portato anche a una riflessione sulla bellezza non in modo retorico, come oggi spesso si usa fare, quanto piuttosto per ricordarci che se tanta bellezza esiste è perché Dio si è fatto uomo. Perché la mente dell’uomo non può contenere la grandezza di Dio, infatti Dio non è rappresentato se non nel Figlio. Nessuna religione ha espresso tanta bellezza come quella cristiana avendo, appunto, un Dio fatto uomo. Da qui Sgarbi è passato a condannare la scelta di abolire il crocifisso dai luoghi pubblici proprio in virtù di un fatto culturale e per riconoscenza dell’essere cristiani. Anche gli atei sono tali nei confronti di un Dio dei cristiani, da qui la citazione d’obbligo “non possiamo non dirci cristiani” di Croce.
Papa della Chiesa cristiana quindi era Ratzinger secondo Sgarbi e papa Francesco non è in questa dinamica. Poi ha sottolineato che Francesco crede che Dio sia anche Dio dei musulmani ma questo a onore del vero lo dichiarò anche Benedetto XVI, quando in Santa Sofia disse che il Dio che preghiamo è unico: per ebrei, cristiani e musulmani. In riferimento agli adeguamenti liturgici ha anche ricordato che il “rivolti a Dio” è un principio fondamentale che vede il sacerdote come la guida del popolo quindi il primo rivolto a Lui e le chiese moderne appaiono a volte come scatole da scarpe che non portano a volgere lo sguardo verso l’alto.
Critico poi nei confronti del vescovo precedente, responsabile dell’adeguamento liturgico della nostra cattedrale che oltre ad avere tolto i banchi per sostituirli con improponibili sedie ha dato spazio a perversi artisti contemporanei, a suo parere incapaci di esprimere al meglio la simbologia cristiana. Opportuno però ricordare che non si può parlare di responsabilità personale in quanto il progetto ha avuto la supervisione e l’approvazione della Commissione Episcopale. Ultima nota di valore visto che ci si trovava nel tempio dedicato a Maria è stata l’esaltazione della figura della Vergine e quindi della donna come elemento culturale imprescindibile.
La figura della Madre di Dio deve essere vista giustamente come il collegamento tra uomini e cielo e non come figura marginale. Molti quindi gli spunti degni di un’omelia laica che vedono il dissacrante critico in una dimensione quasi mistica. Non tralascia però la sua solita ironia, quando al termine della serata afferma che se non fosse nato a Ferrara avrebbe voluto avere i natali a Reggio Emilia. Sicuramente avrà concluso allo stesso modo a Firenze e Bergamo per poi ripetersi a Piacenza, Napoli e Palermo.