Firenze – Erano tante, e la giornata è stata lunga; tante, con tante associazioni, con tanti uomini al loro fianco. Ma la nota che ha caratterizzato questo 8 marzo, in una città ancora attonita per la violenza che ha ucciso Idy Diene da un lato, e dall’altro dal dolore immenso della perdita del capitano Astori, è senz’altro la determinazione e la chiarezza degli obiettivi. Uno striscione davanti, “Non una di meno”, come l’associazione che ha organizzato il corteo, tanti cartelli e bandiere, tante mimose, un corteo colorato e composto, che ha ricordato alla città fasciata da due lutti entrambi incomprensibili, se pur per motivi diversi, che la violenza sulle donne è un gigantesco incubo che ogni giorno rapisce, uccide, sfigura, distrugge.
Non solo. Su quei cartelli, nei discorsi, negli occhi delle donne anche l’indomabile volontà di colmare quel gap che sembra a tutt’oggi insuperabile fra diritti coniugati al maschile e al femminile: gli stipendi più bassi, ad esempio, le minori probabilità di carriera, ma anche il diritto di disporre del proprio corpo, della propria vita, delle proprie scelte. Parole che sembrano antiche, ormai superate, idee che tuttavia stentano a diventare patrimonio reale ed effettivo della complessa società umana. Differenze che si annidano in luoghi dove meno te lo aspetti, come narrano le vicende americane, ma anche in luoghi dove non dovrebbero esistere, luoghi che lungi dall’essere oasi di pace e sicurezza possono diventare teatro di incubo, come le mura famigliari, un amore, un padre padrone, un marito violento. Da piazza Santissima Annunziata, dove si è mosso il corteo, lungo il centro storico, con sette tappe. Una giornata di sole, un grande abbraccio collettivo. Tante, come ha detto una liceale, mimosa fra i capelli e zaino in spalla, “con un’unico cuore”.