Speciale attoroni in dvd: chi si salva?

In crisi d’astinenza da filmoni e con le tasche vuote per i troppi euro spesi al cinema, qui al Bar De Curtis ci siamo dedicati a una illegalissima rassegna di dvd a noleggio proiettati nella sala carte, scegliendo in base non al regista o alla storia, ma alla fama dell’attore protagonista. Ecco com’è andata.

TomorrowlandEthan Hawke (Predestination, 2014, regìa di Michael e Peter Spierig): prego? Hawke sfigurato, non sappiamo se per esigenze di copione o semplici cause naturali, avanti e indietro nel tempo, tra prevenzione del crimine e poliziotti temporali, ermafroditi e orfanotrofi. Possibile che uno non riconosca se stesso in versione donna? Grottesco il colpo di scena dopo un’ora: quindi Hawke in realtà è… Non ce la sentiamo di scriverlo, per pudore, non certo per preservare la sorpresa.

Arnold Schwarzenegger (Contagious, 2015, regìa di Henry Hobson): Schwarzy ammazza due vicini di casa “zombizzati”, poi quando sua figlia viene contagiata, cosa dice ai poliziotti che si avvicinano? “Non azzardatevi a toccare mia figlia”. Film agreste, lento, buio, con un finale che arriva proprio quando la faccenda comincia a farsi interessante. Ma per dare a Cesare ciò che è di Cesare: Schwarzenegger non è così scarso come si è portati a pensare. C’è di molto peggio sugli schermi.

Kevin Costner (Black or white, 2014, regìa di Mike Binder): Costner è uno degli ultimi grandi miti, cool a prescindere e nonostante una calvizie che pare comunque essersi stabilizzata. Ma qui è poco ispirato e si vede, nella pubblicità del tonno risulta molto più espressivo che in “Black or white”. Non si può biasimarlo, la storiella è quel che è; la lotta per l’affido di una nipotina, che fa le fusa come un gatto e filosofeggia come Kant, è solo proforma e il buonismo disgustosamente imperante.

Sean Penn (The Gunman, 2015, regìa di Pierre Morel): cercano di ammazzarlo dalla prima all’ultima scena, ma lui, che è pure malato, se la cava sempre. Penn è invecchiatissimo e stranamente muscolosissimo, in compenso la faccia di Javier Bardem svela il colpo di scena alla prima inquadratura.

George Clooney (Tomorrowland, 2015, regìa di Brad Bird): cartoni animati, musical e film per famiglie qui al Bar De Curtis sono banditi, scappiamo dal marchio Disney come i vampiri dall’aglio. Però qui c’è Clooney, magari…magari niente. In tutta sincerità non siamo in grado di raccontarvi “Tomorrowland”. C’è una spilla magica, ci sono bambini che si inseguono nel futuro e nel passato, c’è pure un razzo nella Torre Eiffel, ma di mettere tutto ciò in un ordine logico e temporale non siamo in grado, e nemmeno ci interessa farlo.

PremonitionsDwayne Johnson alias The Rock (San Andreas, 2015, regìa di Brad Peyton): se The Rock continua ad alternare la carriera di attore a quella di wrestler un motivo ci sarà, sai mai vada storta una delle due… Come wrestler è carismatico ma sa fa fare due mosse in croce, come attore è simpatico, ma è meglio come wrestler. Fate voi. Qui è un buono assoluto, eroe – soprattutto per la sua famiglia, per il resto del mondo meno – dopo un super terremoto che devasta la West Coast. Ennesimo disaster-movie non necessario.

Jake Gyllenhaal (Southpaw-L’ultima sfida, 2015, regìa di Antoine Fuqua): drammone con tanto di colpo basso, restando in tema di boxe, ovvero una bimba preoccupata per il papà pugile. Gyllenhaal è sempre tumefatto, o perché lo pestano o perché fa un dritto contro un albero. Il film non è da Oscar ma si può tranquillamente guardare, c’è pure il sempre bravo e impreciso (per via di quella faccia) Forest Whitaker. Però scusate: l’omicidio della moglie? Frega niente a nessuno?

Anthony Hopkins e Colin Farrell (Premonitions, 2015, regìa di Alfonso Poyart): tutto già visto, da “Il Silenzio degli Innocenti” (Oscar inspiegabile nel 1991) a “Seven”, senza dimenticare “Manhunter”. Per fermare un serial killer veggente si affidano al sempre sopravvalutato Hopkins, truccato come Gary Oldman in Dracula (tanto che viene spesso da domandarsi se sia vivo). La cosa bella è che il serial killer a un certo punto si presenta al bar, così, per facilitare la sceneggiatura, dando il “la” a un calo vertiginoso di ritmo, col focus che si sposta dalla ricerca dell’assassino, al rapporto tra l’assassino e Dracula. Chiudiamo con un paio di considerazioni sugli altri attori: si sa della presenza in questo film di Farrell, ma per un’ora, finché non entra in scena il serial killer, non si vede. Chi interpreterà mai? Mah, che sorpresona, eh? Poi perché per il ruolo di detective hanno scelto Jeffrey Dean Morgan? Javier Bardem era occupato? Sono identici…

Keanu Reeves (Knock Knock, 2015, regìa Eli Roth): da vedere questo figlio di “Funny Games” e nipote di “Arancia Meccanica”, ma con i ruoli…invertiti. Dirige Eli “Hostel” Roth, che stavolta non ha bisogno di ricorrere allo splatter per creare tensione. Revees, che finalmente inizia a invecchiare e si vede, non è mai stato un fuoriclasse: e qui, quando si trova alle prese con scatti d’ira e disperazione, fa quel che può. Premesso che il ruolo non è affatto semplice, un sei in pagella lo porta a casa. Più che altro c’è da domandarsi se sia stata la scelta giusta affidare a lui il ruolo di padre e marito amorevole, visto che nelle scene famigliari a inizio film sembra ingessato.

Lo stagista inaspettatoRobert De Niro (Lo stagista inaspettato-The Intern, 2015, regìa Nancy Meyers): cinematograficamente un miracolo. De Niro, reduce da anni di performance obitoriali, resuscita interpretando se stesso, ovvero un anziano alle prese con i giovani rampanti di oggi. Merito suo, merito anche delle quote rosa rappresentate dalla regista Nancy Meyers, una garanzia del settore, e dalla co-protagonista Anne Hathaway, bella e brava. Disgustoso il finale mieloso. Chiudiamo con una bestemmia cinefila: vogliamo dirlo che De Niro, con le sue smorfie alla Taxi Driver, in tutti questi anni è stato un attimino sopravvalutato?

Al Pacino (Danny Collins, 2015, regìa Dan Fogelman): film insipido su un cantante sul viale del tramonto. Al Pacino non si discute ma qui non fa nulla per tentare di dare un po’ di brio a una storia fiacca. Piuttosto: perché il suo manager è vestito come l’omino della Birra Moretti? E perché l’attore che interpreta il figlio di Al Pacino gli assomiglia tanto quanto Bombolo a Brad Pitt?

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