Aldo Moro doveva morire: “In via Fani c’erano anche le Br”

Gero Grassi ricostruisce le risultanze della Commissione parlamentare Moro 2

Moro doveva morire. Nessuna trattativa poteva salvarlo, come pure tentò, unico fra tutti, il Partito Socialista, senza però né forze né alleati. Moro doveva morire, e nessuno avrebbe potuto salvarlo, perché la sua morte s’inseriva in un disegno internazionale che derivava e preservava l’ordine mondiale stabilito a Yalta, che nessuno poteva sfidare. Figurarsi quella piccola ma strategica parte dell’impero occidentale che si chiama Italia. Le conclusioni, né particolarmente nuove né particolarmente complicate, cui giunge il libro di Gero Grassi, già parlamentare, già membro della Commissione parlamentare Moro 2, pugliese come lo statista assassinato, si basano sulle testimonianze che sono state registrate in decine di audizioni, ascolti, chiamate di testimoni e personaggi legati alla vicenda da parte della Commissione Moro 2.

Un lavoro immenso di ricostruzione, riversato nel libro Moro, la verità negata, di pugno di Grassi, in cui si mettono in fila, uno dopo l’altro, i capi di una tela che si stenta ancora oggi a comprendere nella sua vastità e complessità. Una tela di ragno enorme in cui venne sacrificato lo statista della Dc, la cui morte “uccise” politicamente Berlinguer, l’altra grande sponda del tentativo di svincolarsi dalle decisioni di soggetti terzi al nostro Paese, d’altro canto oggetto di un “misterioso” attentato avvenuto a Sofia, nel 1973, in seguito al quale Berlinguer fu prelevato da un volo di Stato, dopo aver rifiutato di farsi accompagnare in ospedale a Sofia e a seguito di una telefonata verosimilmente fatta a Moro.

Ricostruzioni andate in onda sulla tv nazionale nella trasmissione Report della settimana scorsa, ma che si trovano ordinate, spiegate e messe nero su bianco nel libro, antecedente la puntata, di Grassi. Un libro liberamente scaricabile dal sito dell’on. Grassi, gerograssi.it, che sabato 13, nel pomeriggio, è stato oggetto di un lunga e articolata presentazione -dibattito al Circolo Arci di Bivigliano, Sala gremita, gente a sedere sulle scale, una tensione palpabile che ha tenuto inchiodati ai propri posti le persone che hanno affollato l’Arci. Deus ex machina e organizzatore d’eccezione dell’evento, Francesco Critelli, ex sindacalista in pensione che spiega, raggiunto da TDC, “la convinzione che sta maturando, posto che novità, dopo le ricostruzioni della Moro 2, non emergono perché dovrebbero parlare soggetti che o sono morti o non parlano, in tutti quelli che hanno seguito i lavori delle commissioni, la Moro 1, la Moro 2 e quella sulle stragi compiute nel periodo piuttosto oscuro che si colloca fra gli anni ’70-’80, è quella di una complessità legata ad altre forze in campo e all’opera nel nostro Paese in quell’epoca, forze esterne che non erano gestite dalle istituzioni italiane ma che, viceversa, potevano condizionarne fortemente l’azione”. Dalle risultanze dell’ultima commissione Moro, insomma, emerge che sul campo del rapimento e strage della scorta, i brigatisti non erano soli. Anzi, come si legge nel provocatorio titolo dell’incontro, “In via Fani c’erano anche le Brigate Rosse”.

Il via dell’incontro toglie il fiato. Il silenzio è assoluto. Sul muro della sala appaiono spezzoni di una storia che non si racconta, eppure è quella da cui nasce e si sviluppa il presente. Così, sul video si affollano le immagini del Dopoguerra, riappaiono De Gasperi e Truman, i congressi Dc fino a quello famoso del 1976, dopo il disastroso risultato del referendum sul divorzio del 1974, che vede la rivolta della base e la richiesta delle dimissioni dell’intero blocco dirigente, con la necessità di facce nuove. Protesta clamorosa, documentata nel film del regista Roberto Faenza,  che lo realizza nel 1977 col titolo “Forza Italia!”; uscirà nel 1978, verrà fatto ritirare dal Ministero degli Interni, a pochi mesi dalla sua uscita, nel giorno del rapimento Moro, verrà menzionato in una lettera dalla prigionia dallo stesso Moro come specchio della spregiudicatezza della classe politica, e costerà al suo autore la necessità di allontanarsi dall’Italia per potere lavorare. Un percorso che dagli accordi di Yalta, al tour di De Gasperi nel 1948 negli Stati Uniti con l’incontro con Truman e la successiva uscita del Pci dal governo, ai telegiornali nazionali che danno il terribile annuncio del rapimento di Aldo Moro la mattina del giorno in cui è atteso in aula parlamentare per la discussione e votazione del nuovo governo, dopo le dimissioni del governo precedente , il governo monocolore DC di solidarietà nazionale, guidato da Giulio Andreotti insediatosi nel 1976, che godeva dell’appoggio esterno del Pci. Il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Moro e dell’uccisione della scorta, si sarebbe tenuto il primo dibattito sulla fiducia al nuovo governo Andreotti che avrebbe dovuto segnare l’ingresso del Pci in un ruolo più organico al nuovo governo, pur rimanendo senza ministri. Il tentativo, cercato e costruito dalla linea Moro-Zaccagnini, è, secondo la ricostruzione del libro, la linea rossa che porta dritti dritti al baratro in cui si consumerà 16l’omicidio dello statista. Che diviene così forse più comprensibile, ma ancora meno accettabile. Una documentazione, quella offerta da Critelli sui documenti e le immagini dell’epoca, che prepara all’intervento dell’on. Gero Grassi.

Intanto, chi è Gero Grassi? Sessantacinque anni, nasce a Terlizzi in Puglia, vicino di casa di un altro politico importante per l’Italia, il già segretario di Sinistra Italiana Nicki Vendola. Grassi, politico giornalista e scrittore, come si legge sul suo sito gerograssi.it, muove i primi passi nell’Azione Cattolica, quindi nel Movimento Giovanile DC, affascinato dal pensiero di Aldo Moro e nelle ACLI , dove ha ricoperto diversi ruoli, tra cui, per anni, quello di Presidente. Nel 1982 Segretario della DC, risulta nel 1989 primo eletto in Consiglio Comunale, e Sindaco di Terlizzi (1990-91) con una Giunta comprendente PDS e PRC. Segretario Provinciale del PPI di Bari, diventa Segretario Provinciale della Margherita di Bari e infine Segretario Regionale della Margherita di Puglia negli anni 1996-2006. Nel 2004 – 2005, in qualità di esterno al Consiglio Comunale, è Assessore prima nel Comune di Gravina in Puglia e poi a Terlizzi. Eletto Deputato della Repubblica nella Circoscrizione Puglia nel 2006, entra a far parte della Commissione Affari Sociali della Camera, dove si distingue, in qualità di relatore, in alcune leggi di miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale. Ne conseguono la nomina a Responsabile Nazionale della Sanità della Margherita e quindi quella di Responsabile Sanità del Partito Democratico. Nel 2008, sempre in Puglia, è rieletto alla Camera per il Partito Democratico e per cinque anni svolge il ruolo di Vicepresidente della Commissione Affari Sociali. Nel 2013, dopo aver vinto le primarie del PD in Puglia, è rieletto alla Camera dei Deputati e il 9 aprile diventa Vicepresidente del Gruppo PD della Camera dei Deputati. Nell’attività parlamentare che svolge fino al 2018, quando decide di non ricandidarsi, è componente di varie Commissioni importanti, da quella Affari Sociali della Camera, alla Bicamerale di Vigilanza Rai, ma soprattutto della Commissione d’inchiesta sull’eccidio di via Fani, rapimento e morte di Aldo Moro, di cui è stato presentatore e relatore della proposta di legge istitutiva della Commissione stessa.

“Leggendo e studiando gli atti precedenti, della prima commissione Moro e della commissione stragi che s occupò anche del caso Moro, mi resi conto che tante cose non tornavano, per cui, pur fra grandi difficoltà, feci la proposta di legge”, per l’istituzione della Commissione Moro 2. Ripercorrendo le origini dell’impegno politico di Moro, Grassi trascina il pubblico nelle elezioni del 2 giugno 1946 e rende vivo un giovane Aldo Moro che parla nelle “assolate piazze di Puglia” con parole che propagano idee e principi come Stato Etico, Diritto e Morale, Sacralità della Persona. Una Puglia, ricorda ancora, in cui l’analfabetismo “rasenta il 28% e in Italia supera il 18%. La vita media degli italiani supera di poco i 40 anni. Un operaio guadagna 10.000 lire al mese. Il quotidiano costa 4 lire, la tazzina di caffè 20 lire, il pane 45 al chilo, il latte 30 lire, un litro di vino 75, un chilo di pasta 120”. non sono solo numeri, dati storici. Danno l’idea di qual è il Paese che va ricostruito, qual è la realtà in cui si forma il giovane accademico pugliese.

Una realtà che entrerà dentro l’impegno politico di Moro, mettendo in campo la sua assoluta priorità, ovvero la dignità della persona, il suo valore. Una scala di valori in cui può essere scorta la sua capacità di inglobare, includere, ragionare per somme e non per sottrazioni. Qualcosa che in un certo senso prefigura, senza nulla voler togliere a un periodo complesso in cui poli4tica, istituzioni, servizi segreti, interessi stranieri si incrociano e giocano il loro gioco feroce a Roma, baricentro del Mediterraneo e della politica dei due grandi protagonisti dell’epoca, che non dimentichiamo è quella della guerra fredda: ovvero Usa e Urss. Torna Yalta, torna il niet sovietico e lo stop statunitense allo scoprirsi di un’altra via, quella dei comunisti al governo in un paese occidentale, comunisti capeggiati da quel Berlinguer che, ricorda Grassi, è sbeffeggiato e diminuito in terra sovietica, tanto da ritenere che siano proprio qui i suoi nemici più acerrimi. Nessun esperimento, è questa la tesi di fondo, per una terza via che metta in crisi la grande spartizione mondiale; nessun tentativo destinato al successo, per declinare in modo alternativo il potere con la P maiuscola.E’ quello che intende Pecorelli, quando il 2 maggio del 1978 scrive che Yalta è in via Fani e decide la morte di Moro. Del resto, chi sfida davvero quel Potere muore. Ela morte di Mattei, ottimo amico di Moro, in questa prospettiva assume il significato di un monito sinistro.

Se la genesi della morte di Moro sembra ormai conclamata, ecco cosa c’è che non quadra, nella verità offerta in pasto alla gente, per Gero Grassi, “punta di diamante” della commissione Moro 2, come ha detto pochi giorni fa in un’intervista a Telenorba, il senatore Pellegrino, presidente nel corso dei 7 anni di vita della commissione stragi, Un lavoro, quello della commissione Moro 2, che mette in luce svariate contraddizioni e paradossi della vulgata comune, punti critici che aprono a nuove ricostruzioni, che, come sottolinea lo stesso Pellegrino, rendono di fatto poco credibile la verità diffusa, ovvero quella di un omicidio richiuso dentro lo spazio delle BR.

In un silenzio in cui non si sente volare una mosca, nella saletta dell’Arci di Bivigliano, che vede in prima fila sindaco, vicesindaco e assessori, poi curiosi, studiosi, gente anche sulle scale . Gero Grassi dopo l’ambientazione e l’analisi delle pissibili cause del dramma che scosse la Repubblica, comincia a segnalare le prime, e dopo i risultati della Commissione Fioroni o Moro2. grossolane contraddizioni. “Intanto, i brigatisti non hanno mai detto chi c’era con loro in via Fani, quella mattina di marzo. Poi, ci sono le contraddizioni di alcuni magistrati. Non dimentichiamo – dice Grassi – che era l’epoca in cui c’era la P2”. Ma dove sono riusciti ad arrivare, i parlamentari facenti parte delle Commissione Moro 2?

Il primo elemento: quel giorno gli spari non provennero solo da sinistra, “ma anche da destra e da dietro”, come dichiara Grassi. “In commissione contestai aspramente la posizione del capo della Polizia, che sosteneva ancora che si fosse sparato solo da sinistra (ovvero dal lato dove si trovavano i brigatisti, ndr) mentre è evidente che i colpi provengono anche da destra, nonostante sia evidente ad esempio che chi ha ucciso Iozzino (uno dei poliziotti della scorta) lo ha ucciso sparandogli da dietro, fuori dunque dall’area di colpi dei brigatisti. Il mistero di Zizzi, altro esempio, che viene colpito alle spalle, ritrovato seduto dentro l’auto, ma senza traccia di sangue al posto di guida dove siede”. Dunque, tutto fa pensare che Zizzi sia uscito dalla macchina, ucciso e poi rimesso al suo posto, dentro la vettura. Ma non è finita. ricorda Grassi: “In Commissione ho sostenuto l’importanza dell’auto sistemata al posto del furgone di fiori che abitualmente si trovava in quella posizione. Una testimone, una donna, architetto, ha sostenuto di aver visto sparare qualcuno dall’interno di quell’auto, auto che apparteneva ai servizi segreti”. Dunque, un’auto dello Stato, un’auto dei servizi segreti dello Stato italiano si trovava, quel giorno, sul luogo del rapimento? Perché?

Passo indietro, per inquadrare l’ambiente in cui si svolsero massacro della scorta e rapimento di Aldo Moro. Riavvolgendo il filo della storia, torniamo al 1974, che, ricorda Grassi, è un anno orribile per il Paese, dalla strage di piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio, a quella del 4 agosto dell’Italicus, trenp su cui si trovava Moro che fu fatto scendere, dieci minuti prima della partenza, da due funzionari dei nostri servizi segreti, Le BR0 sono già nate, nel 1970, fondate da Alberto Franceschini, Mara Cagol e Renato Curcio- Alberto Franceschini, ricorda Grassi, in un incontro dice che le BR “nascono con più carabinieri che brigatisti”. Alberto Franceschini e Renato Curcio vengono arrestati nel 1974, Mara Cagol uccisa nel 1975. Cambia la leadership delle BR , arrivano Senzani, Morucci e Moretti. “Il 15 marzo1979, a un anno dalla strage di via Fani, viene ucciso il giornalista Mino Pecorelli, che era stato capo ufficio stampa del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, per il quale, quando Mattarella era ancora assessore, aveva organizzato un incontro con Moro sul tema della6 scuola. Omicidio ancora completamente irrisolto”.

E’ questo il contesto ambientale in cui si svolge il dramma del 16 marzo 1978. Da uno spezzone della Rai, si vede che il giornalista Frajese, andato sul posto della strage e rapimento, a un certo punto dice che sta pestando un bossolo. Ma sulla scena non c’erano solo giornalisti, addetti o forze dell’ordine, dice Grassi, che ha visionato anche le riprese non rese pubbliche della Rai, “ci sono persone che non c’entrano niente con la scena del crimine, che appartengono alla ‘ndrangheta e alla banda della Magliana, che si aggirano con lo scopo di fare gli spazzini” della scena del crimine. “Ci sono persone riconducibili ai servizi segreti e alla banda della Magliana, prendono dei bossoli, se li mettono in tasca e se ne vanno. Esistono i filmati del telegiornale Rai 16 marzo 1978, che fanno vedere chi si è preso la borsa di Moro, un colonnello dei carabinieri. La dinamica di via Fani è la stessa di via D’Amelio. I servizi segreti stanno sul posto”.

“Ci hanno detto per 40 anni – continua Grassi – che il bar Olivetti in via Fani fosse chiuso. Ho dimostrato che era aperto, Come ho fatto? Ho preso un filmato Rai, dove si vede che era aperto. Il bar Olivetti, epicentro del sequestro Moro, era frequentato da Renatino De Pedis, capo della banda della Magliana, Frank Coppola, mafia siculo-americana, Badalamenti, mafia siculo americana. Renatino De Pedis, capo della banda della Magliana, verrà seppellito nella basilica pontificia di Sant’Apollinare”. Per un favore fatto al Vaticano, dice una testimone; per un favore fatto a Marcinkus, dice Grassi. La Banda della Magliana entra nel caso Moro per ragioni di logistica, secondo un’ipotesi ricostruttiva.

“I 55 giorni del caso Moro sono una continua omissione – continua Grassi – nel caso Moro le redini della Dc non ce le ha Benigno Zaccagnini, ma Andreotti e Consiglio, mentre le redini del Pci non ce le ha Berlinguer, ma tale Pecchioli, uomo di Mosca”. Nei 55 giorni succede di tutto. “Abbiamo il ministro degli Interni Cossiga che non sa che a Roma c’è via Gradoli e a via Gradoli stanno gli uffici dei Servizi segreti. A via Gradoli (un covo delle BR, in cui si era ipotizzato fosse tenuto Moro, ndr) arrivano prima i giornali delle forze dell’ordine, Moretti scappa. Via Gradoli era il quartier generale delle BR. Per 40 anni è stato detto che Moro è stato trasportato in via Montalcini a Roma. Falso. Oggi siamo in grado di dirlo: era un altro appartamento strategico delle BR ma non c’era Moro. E allora, dove stava Moro?”,

Nel 1978 esisteva un giornale definito erotico, Penthouse. che esce con un articolo in cui si scrive che Moro “è stato detenuto – cita Grassi – in una palazzina di 4-5 piani, che ha un appartamento esattamente collocato su un garage”. Questa palazzina esiste ed è di proprietà dello IOR. , gestito all’epoca da un vescovo, don Antonello Memmini (indicato in seguito da Prospero Gallinari come il sacerdote che confessò Aldo Moro, cosa che ha sempre negato) e da Marcinkus, ovvero il capo dello IOR. In via Massimi , dove lo Ior possiede 6 palazzine, c’è di tutto, ci abitano due cardinali, c’è la sede di un società segreta americana, un importante uomo d’affari libico, la Faranda, una garconniere di proprietà di Marcinkus”. Luogo quest’ultimo attorno a cui , secondo voci, si parla, dice Grassi, di un giro di ragazzine. Soprattutto, “Marcinkus è colui che nega a Paolo VI, i soldi per salvare Moro. Paolo VI raccoglie dieci miliardi dalle famiglie degli ebrei salvati a Milano, ma viene bloccato da una lettera insolita: “Santità, noi la ringraziamo per quello che sta facendo ma il governo ha deciso di non trattare. Infinitamente suo, Giulio Andreotti”.

“In realtà, la trattativa non c’è – continua Grassi – Pci e Dc non vogliono la trattativa, non la possono volere, Yalta pesa. Nella Dc, la democrazia interna la partito è sospesa; nel Pci, vige il centralismo democratico. Berlinguer, persona seria e saggia, nei 55 giorni non viene insultato da Almirante, come sarebbe normale, ma viene insultato, minacciato e deriso dalla Pravda, descritto come capo delle multinazionali imperialiste. Berlinguer in realtà, con minore audacia rispetto a Moro, per la struttura del suo partito, sta collaborando con Moro per sottrarre ll’Italia dalla logica di Yalta. Non ce la fa, e la morte di Moro diventa anche il suo omicidio politico. Il Partito socialista, piaccia o no, è l’unico che tenta una mediazione ed è il partito umanitario della liberazione di Moro. Ma è troppo debole, per forzare i due blocchi”. Ovvero, Dc e Pci, che all’epoca raccolgono il 74% dei consensi nel Paese.

Dove e da chi viene ucciso Moro? “Fu ritrovata una Renault, rossa, in cui, per molto tempo, tutti hanno creduto fosse stato ucciso. Dai mezzi tecnologici avanzati delle moderne tecniche investigative, è stato possibile rilevare che all’interno della Reanult non c’è nessuna traccia di polvere da sparo. La stessa prova, fatta dall’esterno, ha dato risultanza all’altezza del paraurti posteriore. Moro stava in piedi davanti all’auto. La traiettoria dei colpi indicano che stava in piedi. Viene ucciso non con 11, ma 12 colpi, morendo non sul colpo, ma per emorragia, dopo un’agonia di circa 40 minuti. La tecnica utilizzata è quella cosiddetta a raggiera, ovvero non viene colpito il cuore, ma intorno ad esso. Nella storia d’Italia, questo è il terzo omicidio effettuato con la tecnica della raggiera – continua Grassi – i primi due li ha effettuati Giustino De Vuono”, ex legionario, uomo vicino alla criminalità organizzata, contiguo a certe aree della sinistra eversiva. Quella che è considerata la sua firma non apparirà più dopo la morte dello statista pugliese. De Vuono non può dire più nulla, è morto.

Altre incongruenze, altre possibili verità. L’on, Grassi le dipana via via, dall’attentato al costruendo carcere di Sollicciano a Firenze nel 1977, per cui viene fermato Prospero Gallinari, che vive in quel periodo a Firenze a casa di Senzani, che però non viene ritenuto coinvolto nel fatto in quanto la sua a4desione alle Br avviene più tardi (Firenze condanna, Roma assolve), la figura e il ruolo di Senzani e la vicenda dei fratelli Pecci, la canzone di Rino Gaetano Berta filava interpretata come canzone “ambientale”, l’autopsia di Moro, che comporta fra le altre cose la risultanza che le accuse di droghe, voci diffuse per spiegare la mutazione delle parole dell’uomo nei 55 giorni di prigionia, sono assolutamente infondate. “Voglio morire. Devo andare a trovare il mio migliore amico al mondo, che abbiamo ucciso da innocente. Gli devo chiedere scusa”. E’ Cossiga che parla, in una dichiarazione televisiva. Ancora, il contesto si allarga di nuovo, tocca i consulenti americani, ancora altri soggetti, ipotesi che coinvolgono i servizi segreti di mezzo mondo, a parte la Cia, il Mossad, addirittura la presenza della Raf tedesca. Ma a valle, rimane solo una gigantesca verità, per le risultanze della Commissione Moro 2, che Grassi espone: “il problema che Moro poneva doveva scomparire”.

Cosa c’è ancora da scoprire, tirando le fila della ricostruzione sulle basi delle risultanze dei lavori della commissione Moro 2? “Se dovessimo ragionare in termini percentuali – dice Grassi – direi un 10% ma è difficilmente colmabile. Le faccio un esempio. Chi ha materialmente sparato a Moro? Non le Brigate Rosse ma, se come pensiamo, fu un uomo della ‘ndrangheta che ora è morto, chi ce lo dirà mai chi ha sparato? Chi era presente in via Fani? Non solo le BR, che erano meno di dieci, mentre dalle simulazioni, siamo arrivati a contare venti presenti. Questi altri chi sono, come facciamo a scoprirlo? Detto questo, la traccia generale del caso Moro è ormai disegnata. In due battute: la prima, Yalta decide il caso Moro; la seconda, in via Fani c’erano anche le Brigate Rosse”.

Foto copertina, Di Archivio Storico LaPresse – Gad Lerner, Compromesso storico, quando la sinistra si convince di non poter governare, su gadlerner.it, 30 aprile 2013., Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4571215

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