Ad oggi le donne uccise nel nostro Paese sono 106 con gli ultimi due femminicidi avvenuti proprio a ridosso del 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ma le parole di Gloria (nome di fantasia), in uscita da una relazione tossica, sono la testimonianza che allontanarsi da chi dice di amarti, ma poi ti manipola e ti spinge verso un abisso di paure e sopraffazioni, per quanto difficile è ancora possibile. Gloria vive da sempre nella città metropolitana e un giorno si è rivolta ad un’associazione antiviolenza del territorio. Ha deciso di raccontare la sua storia di vittima di violenza, il suo percorso unito alla forza di volontà e determinazione per venirne fuori. Una testimonianza che vuol essere anche un messaggio di speranza per tutte le donne che vivono sulla propria pelle il timore e l’angoscia di non farcela ad uscire dalla spirale di una relazione inquietante nella quale sono cadute.
Allora Gloria quando si è accorta che il suo ex marito non era più la persona affettuosa e disponibile che lei aveva conosciuto?
«Tutto è iniziato con la violenza psicologica ed emotiva che è entrata subdolamente a far parte delle relazione come se esso fosse un test; un uso a cui dovevo abituarmi per poi aumentarne la dose ed io non l’ho riconosciuta.Ero il soggetto perfetto bisognosa di affetto e con bassa autostima. Anche la violenza economica non l’ho riconosciuta come tale e,del resto, come potevo?. Eravamo una famiglia con lui il capofamiglia. Ho accettato tutto questo cercando solo di evitare la violenza fisica diretta e indiretta e di mettere a tacere le minacce le urla che sempre più spesso negli anni hanno invaso la nostra casa sempre in presenza dei nostri figli. In particolare questo tipo di violenza si è fatta sempre più manifesta con il passare degli anni : l’arrivo dei figli e gli impegni economici insieme. Nella mia idea di ricerca di pace mi sono sempre fatta più piccola fino a scomparire completamente, dovevo esaudire ogni suo desiderio ed evitare in alcun modo di disturbarlo così potevo evitare per lo meno queste manifestazioni mentre la violenza verbale la denigrazione erano all’ordine del giorno….o quasi».
Quand’è che ha deciso di denunciarlo?
«All’inizio ci sono stati alcuni interventi della polizia per sedare le situazioni che si erano venute a creare, ma avevo troppa paura di cosa sarebbe successo dopo e non sono andata avanti. Non ho denunciato. Ormai distrutta nel fisico e nell’animo, sono finita in pronto soccorso. A quel punto non potevo più minimizzare, nascondere a me stessa quanto avveniva tra le mura domestiche. Iniziavo a prendere consapevolezza che quel che vivevamo non era accettabile né sostenibile e in più iniziavo a preoccuparmi per i nostri figli che non solo erano esposti costantemente alle dinamiche di violenza, ma il padre aveva iniziato purtroppo a coinvolgerli direttamente. E nonostante questo la paura di cosa sarebbe successo dopo era ancora tanta a cosa le avrei esposti? A cosa saremmo andati incontro? Chi ci avrebbe protetto?».
A chi si è rivolta?
«Determinante anche per andare avanti con la denuncia è stato il sostegno di un’associazione incontrata lungo il mio percorso che contrasta la violenza del genere su tutto il territorio nazionale con uno sportello d’ascolto in città».
Ha mai pensato che denunciandolo avrebbe potuto innescare una sua reazione ancor più violenta?
«Negli anni mi sono ritrovata piano piano isolata da familiari ed amici, per cui all’inizio i miei interlocutori erano conoscenti, qualcuno un po’ più vicino, ma a volte mi sono rivolta anche a persone appena conosciute sempre e comunque minimizzando. Quando ho iniziato a capire che questa situazione non andava bene per la crescita serena dei figli, pensando di provare ad affrontarla con lui ho iniziato a chiedere sostegno in giro. Nell’illusione di poter migliorare la relazione e invece sono aumentate gli episodi di violenza e così mi sono rivolta a centri specializzati del territorio, alle forze dell’ordine e ho preso la decisione di separarmi».
Pensa che a tutt’oggi sia importante per una donna avere il supporto di un’associazione contro la violenza sulle donne?
«Senz’altro. Essere sostenuta dall’associazione Senza Veli sulla Lingua ha rappresentato un punto di svolta nella storia mia e dei miei figli. Siamo stati riconosciuti nel dolore e nelle nostre fragilità. E questo mi ha dato la forza di andare avanti. Essere riconosciuti serve per riniziare a dare dignità a te stessa e alla tua storia, sì la consiglierei perché ti sostiene quando vorresti mollare tutto, ti ricorda i suoi punti di forza; tutto quello che hai superato quando torni nuovamente a sentirti annullata senza forze perché la battaglia che hai davanti è lunghissima. È difficile dimostrare di essere una vittima soprattutto se decidi di reagire. Vieni messa in dubbio costantemente ed è difficile molto difficile sopportare questa vittimizzazione secondaria che solitamente viene portata avanti non solo dall’ambiente circostante ma anche dalle istituzioni».
Come ha vissuto durante il Covid la sua situazione di donna vittima di violenza?
«Il periodo iniziale del Covid ci ha costretto a convivere stabilmente con il pericolo potenziale del contagio tra le quattro mura che doveva rappresentare il luogo sicuro ma così non era…. I provvedimenti per limitare il contagio covid hanno fatto sì che tutto avvenisse a livello istituzionale con maggior lentezza in modo forse ancor più stereotipato e superficiale, mentre al livello personale, il procrastinarsi della situazione con zone rosse e limitazioni varie hanno fatto sì che io e i miei figli ci potessimo sentire più forti nella nostra bolla che piano piano aveva preso forma lontana da lui».
Lei è anche mamma. In che modo i suoi figli hanno sperimentato l’esperienza della violenza familiare e come è riuscita a gestire tutto questo?
«Purtroppo i miei figli sono stati esposti alla violenza. Ho permesso che fossero vittime della violenza alla quale assistevano e sicuramente la maggior tutela che ho potuto dare a loro l’ho trovata lottando a testa alta per recuperare la dignità delle nostre vite. Sono riuscita a proteggerli nel momento in cui il padre ha iniziato a dirottare la sua violenza verso di loro. Ho però difficoltà a proteggerli dalla vittimazione secondaria che purtroppo origina non solo dalle istituzioni per le quali anche un padre abusante conserva il diritto a mantenere un rapporto con loro, ma anche dall’ambiente sociale in cui la fanno da maestri gli stereotipi di genere. Ed è come se le nostre scelte e le loro vite dovessero essere costantemente giustificati».
Qual è stato il momento più difficile che lei ha passato in questi anni. È vero che ad un certo punto ha pensato di poter perdere i suoi figli,perchè temeva di essere accusata madre alienante?
«Sono stata accusata di essere una mamma alienante , la paura costante per tutta la durata del procedimento era che il giudice potesse confermare tale accusa con tutte le tragiche ripercussioni del caso. Anche se l’alienazione parentale non viene riconosciuta dall’ OMS, esistono varie definizioni e descrizioni per definire una “sorta” di alleanza patologica tra una madre che protegge i suoi figli che avendo assistito per anni alla violenza del padre fino ad esserne vittime dirette poi lo respingono. Ne sarei ancora terrorizzata se non ci fosse stata la sentenza della Cassazione nel caso Massaro lo scorso 24 marzo che ne ha decretato il mancato riconoscimento e la non applicabilità».
Quando ha avuto la sensazione che le cose si stavano mettendo meglio, cioè quando ha cominciato ad intravedere la luce in fondo al tunnel?
«Di momenti difficili ce ne sono stati tanti e sotto svariati aspetti…..la luce? Forse solo ultimamente siamo un po’ più sereni, anche se a volte è sufficiente un messaggio per farmi risentire nel circuito della violenza».
Lei è una donna con un buon lavoro,ed è istruita. Le chiedo se l’indipendenza economica unita all’istruzione l’hanno aiutata nell’affrontare il percorso in uscita dalla violenza ed allontanare così più facilmente il suo maltrattante.
«Se non avessi avuto un’indipendenza economica e non avessi recuperato la possibilità di una socialità adeguata sarebbe stato tutto ancora più difficile, sia allontanarmi dal mio maltrattante che perseverare in questa battaglia per la giustizia e la verità. Tanto meno sarebbe stato possibile accrescere la serenità della mia famiglia. Il grado di istruzione mi ha consentito di comprendere probabilmente con più facilità i rischi di quel che ho deciso di affrontare denunciando».
Le leggi italiane sul contrasto alla violenza sulle donne, per sua diretta esperienza, sono efficaci oppure no? c’è bisogno d’altro? E se sí, cosa?
«Alcune leggi ci sono è vero, ma non sono conosciute e in qualche caso poco applicate. Occorrerebbe sensibilizzare ed educare maggiormente e costantemente partendo già dalle scuole sino alle forze dell’ordine e alle istituzioni in modo che chi si trova purtroppo a vivere e soprattutto a reagire a tali situazioni possa venire, riconosciuto,indirizzato e sostenuto. Il sommerso è notevole perché la vittima tende a banalizzare, a non riconoscere, a stereotipare, così come lo si incontra nel voler denunciare. Non sempre chi ti accoglie è preparato. Spesso sei tu ad essere messa sotto il riflettore, a diventare la sospettata e questo non aiuta ad andare avanti con la denuncia. La stessa applicazione del codice rosso nella sua interezza necessita di una semplificazione nella procedura con un team specializzato in grado di sostenere la donna nel fare denuncia nel momento del trauma»..
Infine cosa vorrebbe dire alle donne che subiscono la drammatica esperienza della violenza, quale messaggio si sente di dare?
Dico loro e a me stessa, perché ne ho sempre bisogno, che anche se si arriva finite disintegrate, impaurite ed insicure, annientate, non è mai troppo tardi per iniziare di nuovo a vivere e che lo dobbiamo innanzitutto a noi stessi,senza vergogna. Prepariamoci ad avere una lettera scarlatta, ma acquisiamo coraggio e forza per cambiare la direzione delle nostre vite con fierezza e dignità. Non è facile, ma è nostro compito reagire, trasformandoci per educare, i nostri figli, la società a contrastare e a riconoscere gli stereotipi di genere, prime catene della violenza a mio parere. Solo denunciando è possibile davvero uscirne, perché in caso contrario si è solo deciso di convivere con la paura e nell’accettazione, rimettendosi da sole nella condizione di vittime sempre pronte a nascondersi e a scappare. Invece di vivere ripartendo e camminare a testa alta con la propria esperienza di dolore e sofferenza, ed attente a che la violenza non si ripeta mai più. In ultimo vorrei ricordare a tutte le donne che loro hanno immenso valore e se a volte in una relazione si lasciano calpestare, si fanno spegnere nell’ essenza e nella sostanza di esse stesse, questo non è amore…. Chi ci ama crea le condizioni ottimali per renderci ancora più belle e maestose ed è felice dei nostri successi….pensiamoci e facciamo lo stesso per chi amiamo, o semplicemente incontriamo sosteniamo per liberarci da eventuali catene. Ricordiamoci di noi…».