25 novembre: Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. E’stata istituita dall’Onu nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, (dette Mariposas “Farfalle”) che furono deportate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana.
E’ importante utilizzare questa Giornata internazionale per esaminare i vari tipi di violenza. Tutti egualmente da condannare. Quella più diffusa vede una serie infinita di donne uccise dai propri partners o dai propri ex, di stupri, di violenze domestiche o vittime di stalking.
Alla base di questo infausto fenomeno sociale c’è l’atteggiamento possessorio nei confronti delle donne che parrebbe del tutto anacronistico nel terzo millennio e che vede, invece, una recrudescenza. Perché? Un primo fattore, è il “culto” ovvero una distorta interpretazione della figura del maschio alpha. In questa malintesa accezione egli diviene colui a cui tutto è dovuto: la donna è sua proprietà, lui ha il diritto/dovere di dirigerla, di ordinarle come si deve vestire e truccare, di stabilire dove può andare….e se sgarra giù botte. Se poi osasse addirittura lasciarlo…e analoga è la figura del narcisista che intende avere il controllo sugli altri o che può scatenare la sua rabbia, per un eventuale rifiuto, per coprire le sue insicurezze.
C’è , inoltre, un profilo di prevaricatore particolarmente temibile quando la violenza inizia in modo subdolo, come sopraffazione psicologica, che si trasforma in minacce e in violenza fisica con un’escalation che talora continua fino alle estreme conseguenze. A ciò si aggiunge un altro fattore di rischio, relativo alle vittime dei soprusi spesso restie alle denunce di stalking o di violenze per timore che le loro ragioni vengano sottovalutate. E di finire addirittura per subire l’umiliazione del disdoro sociale.
Queste ultime considerazioni le ritroviamo in vari libri che riportano delitti o violenze contro le donne. Come nel recente Violenzissima in cui la giornalista e scrittriceIlaria Bonuccelli ( Lucia Pugliese Edit.-Il Pozzo di Micene) esamina varie vicende sottolineandone la devastante ricaduta sulle vittime, che spesso scoraggia le denunce.
Inoltre, per una trattazione delle problematiche socio culturali che stanno alla base di eventi criminosi e dei più diffusi e persistenti pregiudizi merita fare riferimento a Favole da incubo (De Agostini,2020) in cui la criminologa Roberta Bruzzonee l’esperta di comunicazionee blogger Emanuela Valente descrivono famosi casi di cronaca nera con un’ analisi degli stereotipi di genere che hanno provocato tali tragedie.
Le autrici sottolineano uno stereotipo particolarmente lapidario e duro a morire. “I maschi sono intelligenti, le femmine sono utili “(nel libro se ne spiegano dettagliatamente la portata e gli elementi rivelatori, a cominciare dai giocattoli, rilevando che la “supremazia” maschile sotto il profilo culturale ed educativo la respiriamo fine dal nostro ingresso nel mondo pp 15-16).
Il senso di questa analisi è che i maschi sono “progettati” per comandare, le femmine per accudire. A chi pensa che siano in gran parte retaggi di un passato ormai superato, le autrici mostrano che non è affatto così. Nella nostra società troviamo pregiudizi e tabù a cui obbediscono un po’ tutti: le vittime, gli assassini, l’opinione pubblica. Il quadro che ne emerge è crudo: le idee sessiste sono ancora molto radicate, in ognuno di noi, senza distinzioni di condizione economica e culturale.
Il libro spiega anche che questi stereotipi, retaggio della cultura patriarcale, non sono affatto “innocui”, come molti sembrano considerarli. Attraverso la ricostruzione di vari sconvolgenti casi di femminicidio, Roberta Bruzzone ed Emanuela Valente analizzano i principali preconcetti culturali e sociali che hanno operato in “vicende inconcepibili, eppure reali” (pp. 13-14).
E merita anche richiamarci a Le nuove ferite degli uomini (Mondadori 2004) nel quale la psicologa Vera Slepoy osserva che, per lungo tempo, l’uomo si è sentito sicuro del proprio potere, del suo ruolo all’interno del sistema sociale, confortato dai privilegi derivati dalla posizione dominante. Quando sono intervenute le trasformazioni che hanno profondamente mutato l’identità femminile, quella maschile ha subito pesanti contraccolpi.
Cadute le certezze della società patriarcale, come in un effetto domino, sono stati travolti anche quei modelli – il padre-padrone, il guerriero, l’eroe, il dongiovanni– a cui gli uomini si sono ispirati per secoli. Il maschio si scopre vulnerabile. Da qui – spiega Slepoy – un dilagare di bulimia sessuale e violenza fisica e/o psicologica nei confronti delle donne. Il disagio maschile porta alla volontà di degradare la donna. Occorre quindi una ridefinizione della relazione tra sessi.
Ma oltre alla stigmatizzazione dei delitti , il già citato Favole da incubo intende anche aiutare tutti noi a prendere coscienza di quelle voci interiori che ci spingono ancora, nostro malgrado, a fare distinzioni di genere nella vita di ogni giorno.
Perché – scrivono le due autrici – la presa di coscienza è il primo, necessario passo per cominciare a scardinare questi schemi mentali e fare in modo che crimini tanto orribili non trovino più un terreno in cui mettere radici, crescere e riprodursi.
Quindi, intervenire in tempo per fermare l’escalation è possibile, e soprattutto è possibile innescare quel profondo cambiamento culturale che può mettere fine una volta per tutte alla violenza sulle donne.
In foto i fazzoletti rossi dei femminicidi a Trieste