25 aprile: settantadue anni fa la Liberazione

Reggio Emilia – I giorni della Liberazione a Pavia. Già dopo l’8 settembre (1943) l’ostilità al regime fascista si era ridestata, particolarmente viva, a livello universitario, nella Clinica neuropsichiatrica e nella Clinica medica dell’Ospedale San Matteo, dove mio padre lavorava. I medici si erano impegnati a sottrarre all’internamento e alla deportazione molti ragazzi, favorendo lunghissimi ricoveri grazie a diagnosi opportunamente preparate.

Nella primavera si erano formati, anche a Pavia, i Comitati di liberazione (CLN); di quello dell’Ordine dei medici faceva parte il mio papà, rappresentante del Partito socialista. I CLN erano il braccio politico del movimento partigiano e avrebbero avuto un ruolo importante alla Liberazione e subito dopo, al momento del passaggio dei poteri.

A Pavia l’insurrezione ebbe luogo in modo relativamente tranquillo a partire dalla mattina del 26 aprile. Al passaggio delle consegne e all’accordo sulla resa delle forze della Repubblica Sociale Italiana (la Repubblichina) e sulla consegna delle armi, in Prefettura, partecipò anche mio padre. Un po’ complicata fu la resa della Brigate Nere. Gradualmente, da partigiani, Guardia di finanza e Carabinieri, vennero disarmati i gruppi di militari fascisti, e in parte tedeschi, rintanati in vari punti della città, caserme, uffici pubblici, scuole. La resistenza di sporadici gruppi di tedeschi e della Guardia Nazionale Repubblicana provocò alcuni morti (*).

Carabinieri e partigiani occuparono il Castello Visconteo e scoprirono, oltre a molte armi, una incredibile quantità di viveri che, caricati sui camion, vennero destinati ai rifornimenti della città affamata.

 

castello pavia

La sera, dalla nostra abitazione in Viale XI Febbraio, al terzo piano, guardavo sfilare i soldati tedeschi ordinati su due file ai lati della strada e i mezzi motorizzati al centro; avevo sedici anni. Si ritiravano senza combattere, probabilmente avendo avuto garantito il transito indisturbato per evitare altro inutile spargimento di sangue.

Altri gruppi arano stati disarmati pacificamente nei dintorni della città, ma altri ancora, prima di cedere, avevano resistito causando inutili lutti.

Bruno Castiglioni, Professore di Geografia all’Università, si era prestato a fare da interprete nelle trattative per la resa, perché parlava fluentemente il tedesco, la sera non era ancora tornato a casa e di lui non si era avuta più notizia e mio papà, preoccupato, voleva uscire nella notte per cercarlo. Ricordo le accorate discussioni con mia madre, che lo convinse a rinunciare. Il corpo fu ritrovato la mattina seguente, abbandonato sul terreno della campagne intorno a Pavia, con varie ferite. I due figli, Brunella e Titta, erano miei amici.

All’alba del 27 la fase critica della lotta è superata. Nei vari scontri a fuoco erano morti 12 partigiani e alcune decine erano rimasti feriti. Ben diversa la situazione nei paesi dei dintorni: molti gli scontri a fuoco, molte di più le vittime.

A mezzogiorno entrarono in città le formazioni partigiane dell’Oltrepò, che a lungo e con successo avevano combattuto fascisti e tedeschi; in seguito proseguirono per Milano per la celebrazione della Liberazione.

 

partigiani milano

Partigiani a Milano il XXV aprile

Dell’atmosfera dei giorni dopo la Liberazione ricordo il senso di euforia e di grande attesa per le prospettive che si aprivano di un nuovo mondo, libero e giusto. Uscivano molti giornali, di poche pagine, e noi, inizialmente, li compravamo tutti.

In città non assistemmo a molti atti di violenza; ricordo un repubblichino preso a pugni e calci, e due ragazze, che erano state nel corpo delle Ausiliarie e che se la facevano con i tedeschi, rapate a zero e insultate. Di altre vere violenze si seppe più tardi.

Oltre settant’anni sono passati. Da allora, a parte i periodi all’estero, negli anniversari del 25 Aprile ho sempre partecipato alle celebrazioni, corteo e discorsi. Prima con Anna, poi con i miei figli piccoli in collo o per mano, più avanti con i nipotini, che ormai sono cresciuti e oggi partecipano con il loro gruppo di compagni.

A Parma, corteo da Piazza Santa Croce, via D’Azeglio, poi il monumento al Partigiano, quindi Piazza Garibaldi. Ancora vi incontro alcuni vecchi compagni, alcuni amici, ma sempre di meno.

Parma è stata insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana.

(*) Giulio Guderzo: L’altra guerra. Il Mulino, 2002.

 

 

garofani portogallo

Un altro XXV Aprile

Grândola, vila morena

terra da fraternidade.

O povo é quem mais ordena

dentro de ti, ó cidade

dentro de ti, ó cidade.

O povo é quem mais ordena

Terra da fraternidade.

Grândola, vila morena.

Grândola è una cittadina del sud del Portogallo. Fu proprio la trasmissione della canzone di José Afonso (fino ad allora assolutamente proibita) dal programma musicale quotidiano notturno di Rádio Renascença, un’emittente cattolica, che alla mezzanotte del 25 aprile 1974 diede il segnale d’inizio alla Revolução dos cravos, la Rivoluzione dei garofani (così chiamata dai fiori che una venditrice ambulante si mise a offrire ai militari la mattina del sollevamento), che mise fine alla dittatura fascista portoghese che durava da cinquant’anni.

Anche in Italia fummo coinvolti dall’entusiasmo e il disco di Grândola si diffuse in poco tempo, io ne conservo una copia. Alcuni miei amici di sinistra si illusero addirittura che in Portogallo si instaurasse un regime comunista.  Qualche tempo fa, passeggiando per Lisbona, l’ho sentita di nuovo da un altoparlante durante una manifestazione popolare nell’anniversario del 25 aprile. Ero lì – con Anna e i miei giovani collaboratori Marco e Silvia – per un congresso (noioso) sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, l’ultimo al quale abbia partecipato; ho provato una certa emozione, c’erano molte bandiere rosse.

Nel settembre 2009 nella città di Porto ha studiato Giulia, la mia nipotina catalana; dubito che sappia qualcosa della Rivoluzione dei garofani e di Grândola.

 

 

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