Mentre infuria il vento del revisionismo, sotto l’occhio del primo governo di destra-destra della storia repubblicana del Paese, giova senz’altro riprendere i fili interrotti di un passaggio che per la guerra di liberazione, e in particolare per la Resistenza fiorentina, si rivela fondamentale, ovvero la presenza, militanza e impegno combattente delle tre Brigate Rosselli.
Il non facile compito di riannodare le fila della vicenda che portò la III Brigata Rosselli a combattere in prima fila nella liberazione di Firenze dell’agosto ’44, riunendo anche i superstiti della II Rosselli e precedendo le formazioni alleate, ripulendo via via il terreno dalla piaga dei cecchini, è stato assunto, su richiesta della Fondazione Circolo Rosselli, dal ricercatore Luca Menconi. Il suo lavoro, che per primo ricostruisce in modo sistematico la presenza e a storia delle 3 brigate sul territorio fiorentino, appare nei Quaderni del Circolo Rosselli, n.1-2/2023.
L’interrogativo che si pone chi si accosta alla vicenda del ruolo dell’azionismo nella Resistenza, è senz’altro quello dei motivi dell’oblio che sembra aver coperto la storia delle formazioni della I Divisione Giustizia e Libertà.
Sulla questione pesano svariate cause, come illustrato da Menconi. Da un lato, la brevissima esperienza storica del Pd’A, che, scioltosi già nel ’47, faceva venire meno quel retroterra politico e umano necessario per la valorizzazione delle vicende di queste formazioni, sia nell’area fiorentina per quanto ci riguarda, ma anche a livello nazionale. Insomma, la cesura della continuità politica fra il Pd’A e le formazioni GL, come sottolineò Enzo Enriques Agnoletti, provocò, a differenza delle Garibaldi, la dispersione della memoria di una forza partigiana che era stata la seconda per “estensione, combattività, iniziativa”.
Così, si verificò il paradosso degli esponenti di primo piano nella ricostruzione del Paese provenienti dall’azionismo, uno per tutti Ferruccio Parri, e la debolezza del riconoscimento dell’impegno militare e pagato a caro prezzo (le brigate fiorentine della Rosselli ebbero un altissimo numero di perdite rispetto alle forze sul campo) delle formazioni di Giustizia e Libertà. Non solo, come sottolinea nella sua ricerca Menconi, rifacendosi a De Luna (Storia del Partito d’Azione (1942-1947) Roma, Editori Riuniti, 1997), “la maturazione ideologica del Partito era ancora acerba per un organismo nato dalla fusione di anime diverse e in un contesto emergenziale di lotta clandestina al fascismo e della guerra aperta contro gli invasori”.
Uno dei motivi, quest’ultimo, della necessità per il Pd’A di definirsi intellettualmente e ideologicamente, che andava a discapito, come ben sintetizzato da Manconi, della “valorizzazione dei legami interni fra i propri membri, essenziali anche per aver consapevolmente puntato su settori della piccola e media borghesia”. Un punto, questo della debolezza del Pd’A, che insieme alla sua scomparsa nei primi anni del dopoguerra, dà conto della limitatezza degli studi sulle Brigate Rosselli, cui la ricerca di Menconi, forte della documentazione fornita dalla Fondazione e dall’Istituto storico della Resistenza toscano comincia a porre rimedio.
Non estraneo a questo velo che si stese molto presto sul ruolo delle Brigate all’interno della Resistenza, anche le motivazioni che spingevano i propri membri alla scelta della lotta armata, che, come ben delineato dal ricercatore fiorentino, aveva spesso le sue radici in motivazioni esistenziali e personali, spesso di carattere etico, esenti per un buon numero di protagonisti da richiami politici precisi. E’ infatti noto, come riportato da vari studiosi e messo in luce da Leo Valiani, che “neppure la maggioranza” dei partigiani avesse la tessera del Pd’A, in quanto restii ad “iscriversi a un partito”. Un’inclinazione ben esemplificata dalla predilezione della connotazione di “ribelle” al posto di quella di “partigiano”, sentita quest’ultima come di parte. Insomma, prevalse in questa riserva di combattenti, l’ispirazione al criterio della disobbedienza, come semplificato dalla testimonianza, fra le altre, di Giorgio Spini, riportata nelle note della ricerca, secondo cui la sua via all’antifascismo era stata “specificatamente confessionale, protestante. Fin da ragazzo capii che il manganello e il becerume fascista erano inconciliabili con l’etica protestante”.
Le motivazioni che si possono chiamare esistenziali, piuttosto che personali, non impedirono tuttavia il formarsi della consapevolezza-aspirazione di un’ideale di riscatto della patria e di formazione umana del Paese e degli italiani attraverso l’esempio e l’azione. In questo senso, si può forse affermare che le Brigate Rosselli furono, per ispirazione e sentimenti, l’ultimo e glorioso manifestarsi delle idee risorgimentali, un Risorgimento ben lontano, per ispirazione libertaria e valorizzazione dell’individuo, da quello becero e folcloristico di moda nel Ventennio.
Del resto, è significativa la provenienza sociale dei partigiani rosselliani. La stragrande maggioranza, come sottolinea Menconi, era di provenienza militare riconfermando così la presenza delle forze armate dietro la costituzione dei primi nuclei partigiani. I comandanti e i promotori delle Rosselli, “così come la gestione delle singole bande e le funzioni ritenute più delicate, come la logistica, vettovagliamento e comunicazioni, erano tenuti saldamente per tutto il periodo considerato da militari di professione, disertori o congedati”. Il fatto che le Brigate Rosselli fossero prevalentemente extra urbane (e a differenza delle brigate cittadine) la maggioranza dei componenti erano uomini. Le eccezioni erano riservate alle staffette. Un’altra ricaduta dell’estrazione massicciamente militare dei comandi, era la disciplina “piuttosto rigida” che caratterizzava le Brigate con l’eccezione, data la sua storia travagliata, della II Brigata Rosselli, caratterizzata da una forte conflittualità interna. Del resto, era vivo, in particolare ispirato da Parri, l’ambizioso progetto di gettare le basi per la costituzione di un vero e proprio esercito nazionale e popolare, che sarebbe dovuto rinascere dalle ceneri di quello monarchico. Non solo: in campo c’era anche il principio, al di là di quello militare, di servire “quali modelli per la ricostituzione del Paese”.
La storia delle tre Brigate Rosselli viene ricostruita organicamente, sulla base di documentazioni di prim’ordine, dalla ricerca di Menconi. In estrema sintesi e per dare la dimensione concreta dell’importanza del loro ruolo nella lotta armata, perché di questo si tratta, al di là di facili agiografie e del prevalere di interpretazioni senz’altro legittime, ma che rischiano di dare alla storia della Resistenza un taglio puramente vittimistico senz’altro fuorviante dal momento che si trattò di una sollevazione militare e politica del Paese, alcuni numeri delle tre Rosselli sono significativi per la comprensione di ciò che attuarono.
Intanto, lasciando da parte l’esperienza della I Brigata Rosselli, che si costituì sotto il comando di Manrico Ducceschi detto Pippo, nell’area lucchese e pistoiese, le tre Brigate Rosselli che operarono in territorio fiorentino si costituirono fra il settembre e il novembre 1943 e si sciolsero ufficialmente nella cerimonia della Fortezza da Basso il 7 settembre 1944. Alcuni gruppi o personalità isolate proseguirono la battaglia per la Liberazione nel nord Italia. Portarono sul tavolo della Resistenza regionale, preceduti da altre significative esperienze di area azionista come l’esperienza di Lanciotto Ballerini, caduto in combattimento su Monte Morello, medaglia d’oro al valor militare, uno degli iniziatori della lotta partigiana, una forza costituita da 650 componenti attivi e almeno 1500 sostenitori.
Erano caratterizzate da una larga autonomia decisionale, prima di essere inquadrate, nell’agosto del ’44, all’interno della Prima Divisione Giustizia e Libertà, sotto la direzione del CTLN. Le Brigate costituiscono una parte, quella numericamente prevalente, delle forze messe in campo dal Pd’A, insieme alle Sap (Squadre di azione patriottica) il cui ambito di azione era urbano, e alle unità speciali come il Servizio I (informazioni), alle commissioni dedicate alla falsificazione dei documenti e alle trasmissioni radio ,Radio Co.Ra ben nota, e varie altre azioni di assistenza ad ebrei, renitenti di leva e ex prigionieri alleati. Le perdite, secondo le documentazioni rinvenute da Manconi, sono di 1 disperso e 5 caduti nella II Brigata, 40 feriti 3 dispersi e 18 caduti nella III Brigata (la più numerosa)e 3 feriti, un disperso e un caduto per la IV Brigata (viceversa, la più sparuta). In generale, i feriti sarebbero 43, i dispersi 5 e i caduti 24. Tutto in meno di un anno di combattimenti.
Il senso della ricerca di Luca Menconi viene delineato nella presentazione del residente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli Valdo Spini. La fondazione ha commissionato al ricercatore la ricerca sulla storia delle tre Brigate Rosselli organizzate dal Partito d’Azione fiorentino che combatterono per la Liberazione della città. Una storia, come spiega Spini, di cui si era parlato in varie opere (prima fra tutte quella di Carlo Francovich “La Resistenza a Firenze”), ma di cui è sempre mancata una ricostruzione puntuale e organica. Presentando la pubblicazione della ricerca, il presidente della Fondazione ricorda anche la “ricca serie di documenti d’archivio consistenti soprattutto nelle relazioni che furono a suo tempo pubblicate dagli esponenti stessi delle Brigate”, oltre ad altri documenti, relativi ai ruolini dei partigiani delle tre brigate, a disposizione nell’apposita cartella che si trova nel sito della Fondazione, www.rosselli.org “Le Brigate Rosselli a Firenze”.
“Il Partito d’Azione fiorentino ebbe un ruolo di primissimo piano nella direzione politica della Resistenza a Firenze – ricorda Spini – assunse la presidenza del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale con Carlo Ludovico Ragghianti, mentre l’altro rappresentante del Pd’A nel CTNL era Enzo Enriques Agnoletti, mentre il responsabile del comando militare era il colonnello Nello Niccoli. Segretario del Pd’A fu Tristano Codignola, che o guidò con energia e coraggio. Si trattava- ricorda Spini – di intellettuali poco più che trentenni, provenienti in genere dal movimento liberal socialista di Guido Calogero e Aldo Capitini”.
Un “movimento”, nel senso di idee e umanità, che aveva continuità, attraverso Nello Traquandi ed Enrico Bocci, con “quella che possiamo chiamare la prima Resistenza”, ovvero la militanza con Carlo e Nello Rosselli nel “Non Mollare” e in Giustizia e Libertà. Un filo rosso di indipendenza e libertà che non si spezza mai, e che conduce le Brigate Rosselli in prima linea l’11 agosto, al suono della Martinella, per la riconquista di Firenze. L’insurrezione portò al Gonfalone di Firenze la medaglia d’oro al valor militare, consegnata dal presidente del Consiglio Ferruccio Parri l’11 Agosto del 1945.
Ma la storia della Resistenza e delle Brigate Rosselli non si chiudeva con quel gesto simbolico. E il prosieguo di uno strisciante revisionismo storico, particolarmente forte a partire dagli anni ’80, come ricorda nella sua introduzione il direttore dell’Istituto storico toscano della Resistenza Matteo Mazzoni, sfociato in una denigrazione articolata sviluppatasi da parte di diverse forze nel decennio successivo, legata al “traumatico tramonto della stagione dei partiti nati nel contesto della lotta di Liberazione e l’avvento della destra post-fascista al governo del Paese”, ricorda quanto sia importante tornare alla conoscenza dei fatti, senza indulgere né a retoriche francamente ormai offensive per gli stessi protagonisti della Resistenza, né a profili vittimistici. Per tornare alla dimensione libertaria e di ribellione a uno stato insopportabile come la dittatura fascista, utilissimo è il prezioso ricordo del fratello Romano che ci consegna Roberto Ragazzini, pagine di quotidianità e dedizione, e anche l’accenno alla Squadra Fantasma, della III Brigata Rosselli, 13 ragazzi sui vent’anni che facevano un “gioco” molto serio: la guerra per la libertà. Anche per noi.
In foto Carlo e Nello Rosselli