di Cecilia Chiavistelli
Firenze – Il 25 aprile l’Italia festeggia una ricorrenza storica, la Liberazione dopo il fascismo e i devastanti effetti della guerra. Firenze fu colpita al cuore con sconvolgimenti che hanno segnato profondamente la sua storia.
Carlo Frittelli, artista e gallerista fiorentino, è un testimone di quel tempo. Da bambino ha vissuto quel giorno e successivamente ha partecipato attivamente alle vicende della vita culturale, diventando un prezioso punto di riferimento per i movimenti artistici dal dopoguerra a oggi.
“Ero giovane in quel tempo, abitavo in Via Filippo Corridoni, al piano terreno rialzato e ricordo sempre con grande emozione quel 25 aprile, un corteo meraviglioso, partito da piazza Dalmazia con tanta, tanta gente pieno di bandiere rosse e tricolori inneggianti, accompagnati dal canto di Bella Ciao… Fu per me un momento indimenticabile di una bellezza e poesia indescrivibile, centinaia e centinaia di persone tutte insieme, unite in un unico afflato… non si era mai vista una manifestazione così”.
Com’era quel tempo?
“Il panorama di allora era stato molto duro. La situazione, specie per un ragazzo, era abbastanza drammatica. Mio padre era un operaio, la mia era una famiglia semplice, normale. Racconto un aneddoto di quando sono andato a scuola. Era il 1940 e mio padre, che stava uscendo per andare al lavoro, disse a mia madre: oggi devi portare il ragazzo per iscriverlo a scuola e mia madre rispose: finisco di dargli da mangiare lo vesto e lo porto a scuola. Mio padre si ferma sulla porta si gira e dice: si ma lui non va alle scuole Comunali, lui fa le scuole private. Mia madre, lo ricordo come fosse ora, fece un sobbalzo e gli disse, ma se non abbiamo nemmeno i soldi per mangiare? E mio padre secco rispose: non vuol dire, ma lui al Sabato fascista non ci deve andare…!?! Questa divagazione, ma per farti capire com’erano i vecchi socialisti di allora!”
Nell’arte, la culla del Rinascimento, ha riservato tante sorprese…
“Purtroppo le sorprese non sono mancate, la situazione a Firenze, culla del Rinascimento, è veramente un punto “dolens”. La critica e la stampa non accettavano l’arte astratta, vi sono articoli di giornalisti e di critici che attaccano spudoratamente questi artisti, vedi Alessandro Parronchi sul Mattino, Novembre 1948 dove inizia: Se Firenze finora dormiva e si risveglia con la roba esposta da 4 astrattisti alla “Vigna Nuova” meglio avrebbe fatto a dire, con la Notte di Michelangelo: “Caro m’è ‘l sonno e più l’esser di sasso”.
La stampa di sinistra ferocemente li attaccava. Lo stesso partito Comunista rinnegava l’arte astratta si parlava solo di “Realismo Sociale” di stampo Zdanoviano, vedi Guttuso e compagni tanto che, Togliatti durante la visita che fece alla terza mostra di Arte d’Oggi alla Strozzina nel 1949 parlando con loro gli disse: bravi ragazzi, però dite la verità vi piacerebbe dipingere come quelli del piano di sopra? Al piano superiore era installata una imponente mostra del Cinquecento fiorentino…!?! Quello fu un momento di grande delusione per i nostri giovani artisti, tanto che Berti abbandonò la tessera del partito.
Quindi come si può capire la situazione anche nelle gallerie era molto difficile. Rosai si imponeva, anzi il rosaismo con i vari imitatori e non lasciavano spazio ai nostri più importanti artisti dell’avanguardia”.
Quali erano i suoi rapporti con gli artisti astrattisti fiorentini?
“I miei rapporti con gli astrattisti fiorentini sono stati ottimi, passavamo ore a parlare della situazione artistica nel mondo, delle avanguardie storiche, il Cubismo, il Futurismo, la grande lezione di Mondrian, Malevic, Magnelli che sono stati il punto di riferimento per tutta l’arte nel dopo guerra. Vent’anni di fascismo, li aveva oscurati, in quel periodo esisteva il Ritorno all’Ordine”.
E qualche amicizia importante con alcuni di questi artisti?
“Vinicio Berti è stato uno dei personaggi più importanti nella storia dell’Arte italiana per la forza e per la potenza del suo lavoro, ricordo un aneddoto accaduto nel 2000 alla sua mostra organizzata da me al Centro d’Arte Spaziotempo, presenziò l’amico Piero Dorazio che davanti a tutti, puntando il dito su un’importante opera disse: lui è stato il maestro, ha insegnato a tutti!
Berti nel 1945 insieme a Brunetti e al poeta Caverni fondarono la rivista “Torrente” che ebbe solo la durata di due numeri. Berti era un trascinatore, aveva formato il Gruppo di Astrattismo Classico nel 1946/47 insieme a Bruno Brunetti, Mario Monnini, Gualtiero Nativi e successivamente nel 1949 si aggregò Mario Nuti, un gruppo di artisti molto validi.
Ero allievo di Francesco Pesce che aveva lo studio sotto la Galleria Numero di Fiamma Vigo e lì conobbi, nel 1953, Vinicio Berti con il quale ho intrattenuto un rapporto di grande amicizia per circa 38 anni”.
Anche lei esponeva le sue opere…
“Nei primi anni sessanta ho esposto da Fiamma Vigo nella galleria Numero di via Cavour in una mostra collettiva con gli amici Masi, Guarneri, Berti e tanti altri”.
Come è evoluta la storia degli astrattisti?
“Nel 1950 esce il Manifesto di Astrattismo Classico curato dal critico Ermanno Migliorini viene fatta una mostra alla Galleria Vigna Nuova dal titolo Fine dell’Astrattismo, il Gruppo si scioglie e ognuno prende la propria strada”.
Quanto è cambiato da allora il tessuto culturale?
“Mi chiedi quanto è cambiato da allora il tessuto culturale, a mio avviso si è involuto molto, gli artisti hanno perso alcune caratteristiche fondamentali, si stanno buttando in mano al mercato, tutti cercano di imitare, di fare l’opera bella dimenticando invece che l’Arte è ideologia e quindi vita!”
In foto:
Carlo Frittelli
Vinicio Berti – Costruzione multipla AH, 1986 – acrilico su tela cm 70×100 – Credit: Frittelli Arte Contemporanea Firenze