Parce sepulto (Virgilio, Eneide, III, 41)
Correvano i primi anni 2000, quelli del primo Delrio. Sull’onda dell’entusiasmo diciamo così dello sbarco dei primi cattolici dichiarati e praticanti in giunta, osammo duettare dalle pagine di un quotidiano locale poi caduto in disgrazia con un collega ex assessore socialista craxiano, poi fulminato sulla strada di Poona (dove gureggiava Osho), sulla necessità di riaprire pubblicamente alcuni casi del dopoguerra che giacevano sinistramente irrisolti e che videro morti ammazzati tra le file dei vinti, risaputamente innocenti da fascismi di ogni risma. Unico modo, dal nostro modesto punto di vista, affinché i riti della settimana resistenziale e i simboli della lotta di Liberazione si smacchiassero di ogni rivolo di partigianeria strumentale al mantenimento del potere. Che ha bisogno a sua volta di liturgie fondative e saghe epiche da narrare nei ritrovi di gruppo. Solo così, forse, la presunta superiorità morale della sinistra avrebbe potuto essere sbandierata nelle messe – bella ciao senza incappare nella più totale ridicolaggine. D’accordo che la storia debba soggiacere a categorie morali giocoforza generiche, ma le vicende personali devono piuttosto soggiacere al metro della giustizia umana, visto che quella divina non gode di scientifiche e ontologiche certezze.
In virtù del valore (socioculturale) che il sottoscritto da sempre dà alla tradizione e alle cerimonie, non certo per mera volontà disfattista o prurigini nostalgico-revisioniste. Dall’altra parte invece si suggeriva più o meno di scordare il passato (quello che è stato, è stato) e convogliare verso l’alto le energie positive dell’amore e del perdono. Un dimenamento hare krishna, hare hare, un ancheggiamento ecumenico hare rama, hare hare. Che rivangare gli accadimenti di mezzo secolo prima, e magari vangare la terra sotto cui erano ancora ossa senza sepoltura, non sarebbe servito alla riappacificazione sociale e alla famosa ed impossibile “memoria condivisa”. Sarebbe stato interessante andarlo a proporre porta a porta ai familiari che non hanno mai avuto una tomba su cui pregare i resti dei loro cari. Da zona S.Pellegrino o giù di lì arrivò il solito input a far finta di niente; ancora troppo debole era la fresca alleanza tra ex democristiani ed ex comunisti da vederla messa così a rischio da questioni di importanza metastorica, seppur in nome e per conto della verità. Unica dimensione su cui si dovrebbe fondare un mito credibile nella trasmissione dei valori.
I novelli amministratori se ne fotterono giustamente delle nostre paturnie cristico-parrocchiali e ci presero come solito (e forse non a torto) per poveri idealisti imbecilli non inclini alla mediazione e alla diplomazia della realpolitik. Certe irrisolvibili beghe, in estrema sintesi, continuino pure a riposare in fosse comuni sotto metri di terra. Che l’amministrazione è roba per i vivi. Il resto è storia ancor più recente, che ci parla anno dopo anno di un 25 aprile che continua a non unire affatto le sponde degli eredi dei vincitori e dei vinti, di chi ha scritto il corso degli eventi e di chi tenta di riscriverlo, magari con poco nobili intendimenti politici. E ci insegna che i tentativi di insabbiamento di pagine, poche se vogliamo, ma di indescrivibile oscenità di un libro pur sommariamente radioso, rischiano di rendere l’opera incompiuta, mistificata, indigeribile. E forse, oggi che la santa alleanza tra cattolici e socialdemocratici non è più questione da dibattere ma dato di fatto, e che le generazioni di allora o sono estinte o vicine al dissolvimento biologico, il sindaco che verrà potrà elegantemente fare i conti con un passato di storia locale apparentemente lontano, realmente di grande attualità.