25 aprile, 68 anni fa

La Resistenza, le bombe e la fine della guerra: i giorni della liberazione nel ricordo del professor Fieschi
Il Ponte Vecchio dopo il bombardamento

Roberto Fieschi

Nel 1945 frequentavo il penultimo anno di Liceo. Negli ultimi due anni di guerra c’era scarsità di tutto, di cibo in particolare, ma in casa non dovemmo mai soffrire la fame; il mio papà era medico e ogni tanto i suoi pazienti gli regalavano un panino di burro o della cacciagione. In quel periodo non si sprecava nulla e da allora il fastidio per lo spreco mi ha sempre accompagnato.

I bombardamenti, a Pavia, avevano distrutto le vecchie casette lungo i due lati del Ticino, il ponte coperto (le fondamenta risalivano a epoca romana) e una arcata del ponte nuovo, ma non avevano fatto molte vittime. Nella mia classe si era formato un gruppetto di studenti che aderivano al movimento Giustizia e Libertà; la loro attività era la distribuzione di volantini antifascisti. Io non ero stato ammesso perché troppo giovane. Nella classe c’era anche un ragazzo che sosteneva la Repubblica Sociale Italiana e l’alleanza con i tedeschi, il Perotti; era un buon ragazzo, forse figlio di un piccolo funzionario della RSI, noi lo prendevamo bonariamente in giro.

Poi venne l’insurrezione e la resa dei tedeschi. Il mio papà era il responsabile dei servizi sanitari del Comitato di Liberazione ed era presente quando il comandante tedesco accettò la resa. Era iscritto al Partito socialista (allora PSIUP). Dell’atmosfera dei giorni dopo la Liberazione ricordo il sollievo per la fine dell’incubo della guerra, il senso di euforia e di grande attesa per le prospettive che si aprivano di un nuovo mondo, libero, senza più violenza e ingiustizie. I quotidiani uscivano con pochissime pagine e noi, inizialmente, li compravamo tutti.

Il mio amato Ticino

Il mio amatissimo zio Aligi, pure socialista, dopo la Liberazione fu nominato assessore per il nuovo Comune; si occupava dell’assegnazione delle abitazioni. A volte, per ingraziarselo o per ringraziarlo, qualcuno gli mandava a casa un modesto omaggio, una bottiglia d’olio o dello zucchero e la zia ne era felice. Ma durava poco, lo zio, inflessibile le imponeva di restituire tutto al donatore. La correttezza e il rigore erano l’orgoglio dei nuovi amministratori.

Ben presto mi  iscrissi al Partito Socialista,  trascinato dall’esempio di mio padre. Ricordo che l’ultimo anno di Liceo il professor Bigi così commentava i miei temi: “Fieschi, il solito tema socialista”. Il Partito aveva organizzato per i bimbi poveri una colonia sul Ticino. Io ero uno dei volontari, li controllavo mentre si bagnavano, poi mi facevo una nuotata.  E’ stata una bella esperienza, i bimbi erano abbastanza tranquilli e io mi sono sentito utile, un granellino nel processo di ricostruzione del Paese.

Tanti anni sono passati. Da allora, a parte i periodi all’estero, negli anniversari del 25 Aprile ho sempre partecipato alle celebrazioni, corteo e discorsi. Prima con i miei figli piccoli in collo o per mano, più avanti con i nipotini, che  ormai sono cresciuti e partecipano con il loro gruppo di compagni.

A Parma, corteo da Piazza Santa Croce, via D’Azeglio, poi il monumento al Partigiano, quindi la piazza. Ancora vi incontro alcuni vecchi compagni, alcuni amici, ma sempre di meno.

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