Pistoia – Il 2 giugno è una ricorrenza importante, da molti anni. E non solo perché ricorda la data della nascita della Repubblica, ma perché, e mi piace pensarlo, segna lo spartiacque tra il prima e dopo il voto alle donne. Il 2 giugno 1946, come tutti ricorderemo, le donne italiane furono ammesse al voto per la prima volta, dopo anni ed anni di lotte da parte di suffragette, chiamate così proprio per questo.
Possiamo anche pensare che fu una abile mossa strategica, ed importante dato il compito che l’Italia si apprestava a compiere. Un duplice compito possiamo dire, quello che riguardava la scelta della forma istituzionale della nuova Italia, tra monarchia o repubblica, e la Costituente, con l’elezione dei deputati all’Assemblea. Numerosissime furono le donne che si recarono per la prima volta ad esprimere il loro pensiero attraverso il voto: l’89,1% delle aventi diritto, quasi altrettanto fu quella degli uomini.
Epocale, possiamo sicuramente dirlo, fu il momento tanto atteso. Epocale ed emozionante per chi in quelle lotte ha sempre creduto. Una conquista civile delle donne finalmente, così, poste al pari dei maschi almeno nell’espressione di voto, fino ad allora negato.
Conosciamo bene anche l’esito referendario che portò alla scelta della Repubblica con il 54,3% sulla monarchia che ottenne invece il 45,7%. L’elezione della Costituente contribuì a gettare le solide basi della nostra democrazia. Furono 21 le donne elette su 556 deputati, e 5 furono quelle che fecero parte della commissione dei 75 che ebbero l’incarico di redigere la nostra Carta costituzionale, tra cui ricordiamo Nilde Iotti, che diventerà la Presidente della Camera dei deputati e durò per ben tre legislature.
Una donna a capo della Camera dei deputati, una grande svolta. Da lì tutto iniziò, con un’ottica finalmente anche femminile che ha avuto la capacità di contribuire con forza e determinazione alla stesura di articoli importanti della Costituzione. Dal 1950 in poi sono avvenute, grazie a loro, conquiste importanti legate ai temi dei diritti e tutele alle lavoratrici madri, all’apertura possibile della carriera in magistratura per le donne, al divorzio del 1970 con referendum confermativo nel 1974.
Ricordiamo anche la forte battaglia per l’aborto nel 1978, legge poi confermata dal referendum del 1981 e molte altre. Ma sono ancora lontani i tempi della parità di rappresentata sia al Senato che alla Camera che si attesta con poco più del 3%. Fu solo nel 2013 che si arrivò al 31% circa alla Camera ed al 27% circa al Senato. Un aumento molto significativo che dimostra sopratutto l’importanza della misura adottata quale la doppia preferenza di genere.
Essendo il nostro un Paese profondamente maschilista nell’ambito della gestione del potere, infatti, senza questa misura, la rappresentanza femminile sarebbe numericamente non rispondente alla realtà dato che la maggioranza del corpo elettorale e della popolazione in genere, è, appunto, donna. La doppia preferenza di genere è un dispositivo contenuto nella Legge 215/2012, per favorire l’accesso delle donne alle assemblee elettive, in sostanza per far eleggere un maggior numero di donne nei consigli comunali ed addirittura con un tetto del 40% ,nei consigli regionali.
La doppia preferenza di genere, lo ricordiamo, ha debuttato nella disinformazione totale di media e segreterie di partito alle amministrative del 2013 e, sebbene, come ebbe a dire l’allora Guardasigilli Cancellieri fu “ un’occasione persa per le donne” che non usufruirono di questa possibilità, portò comunque all’aumento del 38% di rappresentanza femminile all’interno dei consigli comunali.
Sicuramente dati che fanno riflettere e cercano di solleticare risposte. Senza dubbio una delle risposte a questo forte incremento fa capo proprio all’inserimento di “garanzie” per la parità di genere nelle istituzioni. Una politica mirata che si è occupata di questo traguardo garantendo la quota di lista e la doppia preferenza, introdotti dalla Legge n. 215 del 2012, proprio al fine di garantire il riequilibrio della presenza di donne e uomini nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali.
Riconoscere il valore delle donne nella politica e nelle istituzioni significa valorizzazione in tutti gli ambiti, dalla scuola al mondo del lavoro. Questo passo importante però non leva di mezzo, diciamo non del tutto, il mondo degli stereotipi, del sessismo e degli abusi. Il sessismo che ancora oggi si respira in molti ambiti è deplorevole. La violenza di genere dilaga ed è ancora lontana l’inversione di tendenza.
Occorre fare di più, occorre la cultura del rispetto. Occorre abbattere gli stereotipi a partire dalla famiglia, dalla scuola, dalla società tutta. Occorre trasmettere i valori ai nostri figli perché possano capire quanto sia necessaria la consapevolezza collettiva dell’obbligo al non sopruso. Per contrastare la violenza, per favorire politiche per la natalità, per il lavoro, per la famiglia, per i giovani e gli anziani, occorre una politica però che unisca uomini e donne, non che li divida.
Ma una politica che tenga conto anche della visione che solo una donna può avere. Il nostro paese ha ratificato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione ed il contrasto alla violenza di genere. Non ci dobbiamo fermare qui, occorre continuare ad impegnarci come società ed in politica, affinché se ne applichi i princìpi e se ne faccia davvero uno strumento di trasformazione politica, sociale e culturale. Ma prima di tutto siamo noi donne a dover superare l’atavica nostra diffidenza verso le altre donne.
Molto spesso il vero e reale nemico delle donne sono le donne stesse. Però, noi donne, seppur iper critiche l’una verso l’altra, sappiamo, anche, quanto sia importante superare gli steccati ideologici per unirci nel combattere battaglie che interessino il bene comune declinato sia al maschile che al femminile. #Diversieinsieme, potrebbe essere questo l’hastag da apporre nei vari momenti di riflessione, e come diceva Oscar Wilde: “Date alle donne occasioni adeguate ed esse saranno capaci di tutto.”