Nella notte del 2 agosto 1944 furono uccisi 4.300 tra Sinti e Rom. La strage di persone innocenti si compì a Auschwitz-Birkenau e non fu purtroppo l’unica che caratterizzò la “soluzione finale”,voluta dai nazisti. L’odio di Hitler contro Sinti e Rom fu secondo solo a quello contro gli ebrei.
Nell’aprile del 2015 il Parlamento Europeo dichiarò che si “dovrebbe istituire una giornata per la commemorazione delle vittime del genocidio dei rom durante la Seconda guerra mondiale” e ,il 2 agosto, è la giornata commemorativa in Polonia, Croazia, Repubblica Ceca, Ucraina e Lituania, mentre a Roma è stata istituita qualche anno fa il Genocide Remembrance Day, per ricordare in lingua romanì il Porrajmos (divoramento) o Samudaripé (sterminio).
Sulla persecuzione dei Rom in Italia ad opera del regime fascista, i dati storici raccolti non consentono ancora di stabilire come il popolo romanò sia stato oppresso ma sicuramente molti tra Rom, Sinti e Caminanti furono imprigionati nei vari campi di concentramento sparsi sul territorio italiano: Agnone (convento di San Berardino), Berra, Bojano (capannoni di un tabacchificio dismesso), Bolzano, Ferramonti, Tossicìa, Vinchiaturo, Perdasdefogu e nelle Tremiti. Erano Rom italiani o appartenenti ad altre nazionalità, in particolare Rom slavi, fuggiti in Italia a seguito delle persecuzioni in patria.
Ricordare oggi che cosa è stato il Porrajmos vuol dire ricomporre una memoria storica necessaria per cercare di comprendere cosa sia stato veramente il nazismo con le sue atrocità commesse per annientare sistematicamente interi popoli. Ma soprattutto interrogare le coscienze sui molteplici ritardi che certo non hanno aiutato a far luce su quei drammatici eventi al fine di ristabilire la verità dei fatti e il sacrificio di un intero popolo.
Ne parliamo con Yvonne Lemman attivista sinta di Porrajmos Prato.
Porrajmos: perché ad oggi se n’è parlato così poco?
“È quello che ci chiediamo anche noi. La nostra è stata una memoria negata anche per troppo tempo. Non se ne è mai voluto parlare. Addirittura nei processi di Norimberga non venivamo nemmeno citati perché dicevano che non avevamo facoltà di parlare e dunque non eravamo in grado di raccontare ciò che ci era purtroppo successo durante la guerra. Invece noi Sint e Rom ci siamo sempre espressi ad esempio nell’arte e nella musica, tramandandocele tra di noi ma anche verso chi sapeva capirci e ascoltarci. Perché un conto è sentire altro è ascoltare e ciò ha voluto dire,nel nostro caso, comprendere profondamente il nostro passato,grazie soprattutto al lavoro dello storico Luca Bravi che si è interessato alla cultura Sinti. Ora finalmente si è aperta una strada che ha portato alla riscoperta della nostra identità”.
Negli ultimi anni cosa è cambiato dal punto di vista della ricerca storica oltre che della consapevolezza?
“Sí, qualcosa è cambiato. Finalmente possiamo ricordare la nostra gente che fu sterminata nei campi dì concentramento. Non mi piace parlare di numeri perché sono anime andate oltre, ma grazie ad importanti ricostruzioni documentarie essi non lo sono più. Finalmente sono state riconosciute persone con la propria storia e identità. C’è dunque una consapevolezza e una maggiore attenzione nella narrazione di quel periodo grazie anche alla divulgazione che viene fatta qui sul territorio dalla nostra associazione di Prato. Fino a poco tempo fa nessuno conosceva i Sinti nè era a conoscenza della loro persecuzione. Invece ora grazie alle ricerche di questi ultimi anni sono sempre di più le persone che ci chiedono di sapere cosa è successo al nostro popolo. Vengono a casa nostra, alle nostre iniziative e sono segnali che ci fanno ben sperare per far emergere una memoria negata da troppo tempo”.
Sul Porrajmos ci sono state delle responsabilità italiane, così come per la Shoah?
“Sicuramente ci sono state responsabilità ben precise da parte del potere politico di allora. Mi riferisco al capo del Fascismo Benito Mussolini. Molti scapparono dall’Italia lasciando le proprie case per nascondersi e fuggire dalle persecuzioni. La mia bisnonna riuscì a scappare con i suoi figli in Abruzzo sui monti della Maiella. Usciva solo di notte per cercare del cibo, perché di giorno se l’avessero vista l’avrebbero denunciata, mentre sua sorella finì nel campo dì concentramento di Agnone. In Italia il fascismo come il nazismo è stata la causa della nostra persecuzione perché predicava che non eravamo razza ariana e dunque “diversi”,”.
Quanto è importante recuperare questa memoria per contrastare i pregiudizi di oggi?
“È importantissimo recuperare la memoria ogni anno affinché non accada più una tragedia del genere. Quest’anno la città di Prato ha deciso di patrocinare la giornata del ricordo del 2 agosto per commemorare le 500mila anime delle quali 4.300 uccise in quella sola notte. Un modo per ridare loro la dignità di persona perché quando si entrava nei campi dì sterminio si veniva letteralmente spogliati non solo degli abiti e così annientati. Diventavano cioè dei numeri scritti su un quaderno. Invece con Porrajmos e Samudaripé è come se restituissimo nome e cognome a chi non c’è più”.