Marco Barbieri*
In queste settimane si sentono molte semplificazioni che, con un approccio ideologico, definiscono il pubblico sempre “vecchio” e “inefficiente” mentre il privato “moderno” ed “vantaggioso”.
Sono convinto, del resto, che esistano settori dove il controllo pubblico è fondamentale per il bene della collettività: penso alla salute, all’uso del territorio, alla scuola, a tutte quelle risorse che sono limitate e indispensabili. Su questi “fondamentali” il pubblico deve saldamente avere il controllo, magari avvalendosi delle potenzialità del privato ma senza che questo porti a consegnare ciò che attiene alla vita di tutti alla logica “pura” del mercato.
L’acqua è un bene comune dell’umanità. L’acqua non può che essere un bene pubblico e deve essere garantita a tutti i cittadini di oggi e di domani, rispettando l’ambiente e perseguendo la massima efficienza e la massima qualità. Dunque anche le infrastrutture che si occupano di acqua – acquedotti, fogne, depuratori – devono avere una garanzia di carattere pubblico. Non è possibile affidare al privato ciò che va nel futuro molto oltre la durata di un normale piano di ammortamento: per l’acqua, nel mondo, già oggi si spara e si muore più che nei secoli passati.
Trovo le norme varate da questo Governo decisamente sbagliate. Norme che, combinate con quelle preesistenti, non danno le garanzie di cui abbiamo bisogno oggi e nel futuro. Se pure posso vedere con favore l’ingresso di capitale privato a supporto del pubblico, non posso che bollare come estremamente rischioso il fatto che quest’ultimo abdichi alla propria funzione. Il Governo stesso ha ammesso la fondatezza di questa preoccupazione, prova ne sia che – a referendum già indetto –, in una piega del decreto per lo Sviluppo la Prestigiacomo abbia fatto inserire il “varo” della nuova Authority per l’acqua: un modo – è il caso di dirlo – trasparente per ammettere la scarsa garanzia del percorso sino a quel punto proposto dal suo stesso esecutivo.
L’Authority non risolve, naturalmente, i problemi di fondo: la mancanza di una proposta legislativa sufficientemente “di garanzia” per i cittadini sull’acqua, che affronti prima di tutto l’esigibilità di quello che è un vero e proprio diritto. La creazione dell’Authority dimostra piuttosto quanto il Governo tema questo referendum. Come con il nucleare, cerca di depotenziare la mobilitazione dei cittadini a colpi di decreti, con parziali marce indietro. Uno stile che trovo politicamente ed istituzionalmente inaccettabile.
Andare a votare il 12 e 13 giugno significa dunque anche dire – votando sì anche agli altri quesiti proposti – che di questo genere di beffe gli italiani sono stanchi. Proprio un governo che in nome del suo supposto appoggio popolare – atteggiamenti quasi plebiscitari – attacca la Costituzione e il Presidente della Repubblica, cerca di impedire alla volontà degli elettori di esprimersi a colpi di decreto. Voglio sottolineare la mobilitazione di comitati e cittadini proprio su questi temi, che è straordinaria anche sul nostro territorio ed è una bellissima prova di vivacità della coscienza civica degli italiani, ancora ben lontana dall’essere catodicamente domata. Ecco, questa mobilitazione non merita un’Authority: merita un cambiamento culturale.
Andiamo a votare, votiamo sì.
*consigliere regionale del Pd