Cinema, molestie e violenze: parliamone senza ipocrisie

Firenze – E’ il tempo di parlare senza veli né falsi pudori, né ipocrisia, o tanto meno mancanza di rispetto, dei fatti che riguardano le donne – attrici molestate dai vari big del mondo dello spettacolo, che ormai conosciamo tutti. Non se ne può davvero più. Il livello raggiunto ha davvero dell’incredibile. Cosa è successo? A distanza di anni e dopo la denuncia pubblica partita da Asia Argento, a cui sono seguite anche altre sue colleghe, anche in italia diverse attrici, hanno prontamente preso la palla al balzo ed hanno deciso di raccontare violenze che avrebbero subite anni prima.

Io le definirei “presunte”, perché salvo prove certe, che sembrano non esserci, ciò che da giorni si ascolta sono racconti personali basati unicamente su proprio sfogo, talvolta facendo nomi esplicitamente, altre volte con allusioni. Mi chiedo quale sia il significato, per meglio dire il “movente”vero di questi outing un tantino tardivi, perdonatemi, per non parlare poi di un hashtag (“quella volta che”) che al contrario di evocare la gravità che l’argomento richiede, pare il titolo di una Soap. Tra poco, il 25 Novembre prossimo, guarda caso sarà celebrata la giornata contro la violenza, e pare cadere a fagiolo, come si usa dire, la questione in oggetto, che ormai tocca pure noi italiani.

Oggi, improvvisamente un’attrice affermata decide di vuotare il sacco, facendo così sollecito e tappeto rosso a molte altre donne ( sempre dello stesso mondo), perché? Non che sia sbagliato denunciare, anzi,è sempre giusto accendere luci sulla violenza, ma c’è più di qualcosa che non quadra. Perché accettare di subire molestie e atti sessuali veri e propri e non rinunciare invece alla carriera, con dei costi sicuramente, ma che non sono paragonabili a quelli che definire le peggiori delle offese che una donna possa subire, possono essere. E c’è da chiedersi anche se è violenza quella subita da chi, dopo il primo episodio, ammesso lo abbia davvero subito non volendo, come si legge in giro, decide di continuare ad avere comunque rapporti consenzienti col proprio usurpatore. Sempre per paura di uno eventuale stop alla carriera? Non vi è comunque corresponsabilità, accettazione e ( scusate la schiettezza) mancanza di rispetto nei confronti di tante donne che, invece, la violenza l’hanno subita feroce, dolorosa e talvolta mortale, in cambio solo del nulla o peggio per poter sopravvivere ? Il tema della violenza mi vede impegnata socialmente e politicamente da anni.
Ho conosciuto per questo ed attraverso testimonianze di medici, una tra queste Vittoria Doretti, madre del Codice Rosa, diverse situazioni vissute che hanno messo in luce quanto coraggio occorra a queste donne, quando decidono “finalmente” di denunciare, prendendo coscienza, perché supportate adeguatamente da servizi, percorsi psicologici e sanitari con professionisti capaci, che devono reagire contro le loro paure, i loro sensi di colpa, per proteggere se stesse ed i propri figli. La legge, lo sappiamo bene, esclude il reato di violenza quando l’offesa viene limitata alla sola molestia, e non vi sia nell’atto l’aggressione materiale alla propria intimità fisica, che è cosa diversa. E poi c’è la prescrizione dopo del tempo. In molti dei casi denunciati dalle attrici si parla di molestie, più che di stupri.
Piano con i termini, hanno un peso enorme. Possiamo anche ricordare al mondo intero che da sempre la “ mano” morta sui bus, al cinema, o sul posto di lavoro, per non parlare delle proposte del capo azienda per fare carriera, sia sempre esistita. È stato mai denunciato? No, non è violenza. Sono altre le azioni da fare. Si dice no, ci si alza, ed al massimo con un bel cinque dita sul viso, si esce. Si decide di non vendersi, di non regalare il Nostro corpo ed il Nostro sesso ( appositamente maiuscolo) a nessuno, se non per volontà propria. É coraggio quello dimostrato da queste donne, che dopo anni denunciano ben sapendo che i reati ( se veramente commessi) non possono essere più perseguiti?
Nel frattempo però ci si permette di distruggere persone, uomini di famiglia, rapporti importanti, sulla base di racconti e supposizioni, senza prove se non la coralità che riguarda più i riflettori di un red carpet, piuttosto che un’azione di vera e sana liberazione intima. Ed intanto sono iniziati i “processi” mediatici sia nei talk show che sui giornali, che non hanno prescrizione di tempi, quelli no, non li hanno. Processi ovviamente senza possibilità di contraddittorio, né garanzie alcune per gli accusati, né tutele per le loro famiglie. Cui Prodest? Riflettiamo, seriamente. Almeno questo dobbiamo farlo.
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