Firenze – La prima guerra mondiale con tutto il suo portato di morte e distruzione fu anche un campo nel quale furono sperimentati tanti strumenti e tante tecniche che sono fondamenti della modernità. Lo fu purtroppo nel campo delle armi e delle strategie militari: gli aeroplani, i carri armati, mitragliatrici sempre più micidiali, il gas e il sommergibile, responsabili di centinaia di migliaia di vittime. Lo fu anche in settori meno violenti sul piano fisico, ma del tutto innovativi su quello “psicologico” della propaganda per ottenere adesione, consenso e disponibilità al sacrificio.
Siamo dunque agli albori della comunicazione che ha a disposizione, accanto alla parola, l’immagine: la fotografia e, soprattutto, il cinema. Esattamente cento anni fa, nel novembre del 1914, partì da Firenze una “guerra per immagini” per convincere gli italiani a intervenire nel conflitto al fianco delle potenze dell’Intesa, Francia e Gran Bretagna. Julien Luchaire, fondatore dell’Istituto Francese di Firenze, è a tutti gli effetti un capostipite della comunicazione attraverso le immagini e dovrebbe essere presente anche nei manuali di storia della comunicazione di massa, e non solo in quelli della cultura dell’Europa dei primi del Novecento per le sue idee sul ruolo degli intellettuali.
Di fatto Luchaire è l’inventore di questa guerra delle parole e delle immagini che contribuì alla decisione del governo di Roma di entrare in guerra nel maggio del 1916. Il suo ruolo è stato messo in luce con la riscoperta di un patrimonio di 4.500 “plaques photographiques” di cui 620 relative alla guerra, diapositive su vetro conservate negli archivi dell’Istituto di piazza Ognissanti, riportati alla luce e proposti agli studiosi e ai ricercatori in occasione del centenario della Grande Guerra. Queste diapositive, usate in modo modulare, rappresentavano il “power-point” con il quale i conferenzieri francesi e belgi cercavano di coinvolgere i partecipanti agli incontri e alle conferenze che venivano organizzate in tutta Italia: in totale più di 500 eventi di propaganda, in certi periodi anche 6 conferenze al giorno. Vi partecipavano intellettuali, cittadini comuni e soprattutto soldati che pare non sapessero neanche riconoscere le uniformi tedesche da quelle inglesi: solo in due mesi, nel Nord Est furono contattati 46mila soldati. A Firenze, Luchaire aveva fondato una struttura permanente di persuasione: “la maison du soldat”, un luogo per venire quotidianamente a contatto con i militari italiani.
Alcune di queste diapositive sono state presentate oggi nel corso di un convegno promosso dagli Amici dell’Istituto e dall’Accademia delle Arti e del Disegno e realizzato dalla direttrice dell’Istituto Isabelle Mallez, che ha visto la partecipazione di storici, studiosi ed esperti di fotografia e cinema. Due giornate, oggi 11 e domani 12 novembre, che hanno lo scopo di approfondire tutti gli aspetti culturali e artistici del conflitto che spaccò in due l’Europa.
Si tratta di documenti molto interessanti anche dal punto di vista della prima applicazione delle tecniche di comunicazione attraverso l’immagine. Intanto – come ha spiegato Marco Lombardi, docente di letteratura francese all’Università di Firenze – non si utilizza mai la morte, il sangue e il macabro per coinvolgere emotivamente gli ascoltatori. Del resto, ciò avrebbe potuto avere effetti contrari a quelli desiderati in un mondo che fino ad allora aveva visto le guerre svolgersi solo sui campi di battaglia e fra militari e raramente coinvolgevano i civili. Così come sono rare le fotografie di bambini sofferenti. Frequenti le scene di serenità nei momenti in cui tacciono i cannoni.
Si usa invece la documentazione della distruzione di chiese e monumenti per confermare la barbarie del nemico tedesco che distrugge il patrimonio artistico e la bellezza. Fra l’altro, interessante è stato il lavoro di meticolosa indagine sulla fortuna di una foto scattata sul fronte italiano, il più scenografico, grazie alle Alpi, rispetto alle trincee sotterranee del fronte francese. Una foto “da ufficio stampa” distribuita alle riviste del tempo, come ha spiegato Luigi Tomassini. docente all’Università di Bologna .
“Sono vere queste diapositive? O sono state in qualche modo manipolate o il frutto della censura?”, si è chiesto Lombardi. La risposta sarà data dai ricercatori che hanno avuto l’incarico di studiarle.